Quando un film passa da un genere all’altro senza una valida motivazione, c’è qualcosa che non va. E quando lo spettatore viene trattato come un ingenuo, a cui presentare una dose massiccia di buonismo, lacrime e invenzioni inverosimili nel disperato tentativo di commuoverlo, l’indignazione è più che giustificata. Il libro di Henry è uno di quei film senza capo né coda, di cui si fatica a comprendere il senso. Comincia come una commedia familiare, con una giovane madre (Susan, interpretata da Naomi Watts) che gioca alla playstation invece di controllare le bollette o spazzare le foglie secche davanti a casa, mentre il figlio Henry (Jaeden Lieberher) si occupa di tutte le questioni pratiche. Henry sembra un adulto dalla mente geniale nel corpo di un bambino: è un inventore, uno scienziato, perfino un esperto di economia.
Il figlio minore di Susan, il tenero Peter (Jacob Tremblay), soffre di un complesso di inferiorità che lo porta a vivere nell’ombra del fratello, mentre le giornate scorrono tra casa, scuola e giochi nell’idilliaca cittadina della provincia americana in cui è ambientata la storia. La nota cupa è rappresentata dalla convinzione di Henry che la sua vicina di casa, la silenziosa e triste Christina (Maddie Ziegler), subisca violenza da parte del patrigno.
Poi, all’improvviso, la tragedia: il film si trasforma in un dramma strappalacrime, uno dei protagonisti esce di scena e gli altri restano a elaborare il lutto. E allora si svela che il film di Colin Trevorrow ci ha ingannati fin dall’inizio, perché Henry non è affatto il protagonista. Il percorso che seguiamo è quello di Susan, costretta ad affrontare il dolore e a trovare un modo per restare a galla.
A questo punto, dopo sequenze strazianti che non portano avanti la trama, ecco l’ennesimo cambiamento di genere: la storia diventa un thriller sconclusionato, in cui Susan scopre che il figlio aveva studiato un piano per salvare la vicina di casa, un progetto folle ma organizzato nei minimi dettagli. Tra pagine, bozzetti e registrazioni, Henry ha lasciato una serie di istruzioni precise per la madre, che deve portare avanti la sua missione e uccidere il patrigno di Christina.
Il cattivo, ovviamente, si dimostra cattivo senza sorprese, ma il confronto tra i due adulti si spegne proprio quando dovrebbe esplodere, nel momento del climax. Non basta la sequenza in cui si alternano le scene dello spettacolo a scuola, in cui i bambini si esibiscono sul palco tra danza e giochi di prestigio, e lo scontro tra gli adulti nel bosco per catturare lo spettatore (quello dotato di spirito critico, almeno), che ormai ha abbandonato la speranza di trovare un filo conduttore. E la risoluzione consolatoria, basata sulla classica nozione del cerchio della vita e della formazione di una nuova famiglia, non aiuta.
Quasi quasi ci si aspetta un colpo di scena surreale che dia un significato alla storia, ma non arriva. Resta la sensazione di avere assistito a un concentrato di luoghi comuni e di espedienti narrativi impiegati senza un senso logico, nel tentativo di commuovere lo spettatore senza offrirgli, però, una trama verosimile, personaggi empatici e spunti di riflessione interessanti. E il risultato, inevitabilmente, delude.