In un futuro immaginario e terrificante, il mondo è popolato da pochi superstiti, sopravvissuti alla violenza di orribili creature, completamente cieche. Sensibili ai minimi rumori, esse si accaniscono contro qualunque suono riescano a intercettare, decimando gli umani, costretti a vivere nel più completo silenzio per sperare di vivere. In questo inquietante scenario vivono gli Abbott, due genitori coraggiosi, in compagnia di tre figli, che hanno saputo educare a questa difficile prova. A complicare la routine quotidiana ci sarà la nascita di un quarto figlio, difficile da gestire e controllare, segno amorevole di una volontà fiera e coraggiosa che non vuole rinunciare a vivere e sognare.
A quiet place – Un posto tranquillo è un film che sorprende. Catalogato nel genere horror, riserva all’orrore davvero poco spazio, preferendo alle immagini forti le sensazioni. John Krasinski, più noto per le sue apparizione d’attore che come regista, riesce a costruire, attimo dopo attimo, una tensione cruciale, essenziale, quasi snervante. Dovunque regna sovrano il silenzio che, nel film, è vita. Ogni gesto quotidiano è una prova di sopravvivenza, una sfida virtuosa che costringe inesorabilmente a non emettere alcun suono, per non essere immediatamente spazzati via da creature sconosciute padrone di un mondo ormai spopolato.
Gli Abbott sembrano avere trovato la propria routine, scansando gli ostacoli della giornata, vivendo intensamente attraverso le espressioni del viso e il linguaggio dei gesti, il proprio amore familiare, non per questo meno intenso. Krasinski è molto bravo nel creare situazioni a rischio, che lasciano spazio all’immaginazione prima ancora che ai fatti, ma è bravo anche nel raccontare con sensibilità e spessore l’immenso affetto che lega madre, padre e figli nella prova difficile di credere in una vita impossibile.
Un menage familiare che richiede delle regole che, in questo caso, non sono regole di buona educazione ma di sopravvivenza. È come se tutti si fossero adattati alle esigenze della figlia maggiore, sordomuta, e per il bene di lei avessero sacrificato la parola. Ed è forse proprio questa sensibilità speciale che ha permesso agli Abbott di resistere, in un mondo ormai quasi privo di vita.
A tutto ci si abitua, sembra dirci A quiet place. Anche se è difficile e disumano tamponare le emozioni incontrollabili di un bambino, felice di giocare, o di un neonato, appena venuto al mondo con il bisogno necessario di parlare di sé, attraverso il pianto. Un’impresa che sembra davvero impossibile.
Nonostante questo, il film ci conduce in una storia che non perde mai la credibilità (di un film di genere), che affronta l’emergenza imponderabile con l’ingegno della procedura pianificata. Che riempie il vuoto surreale con un’infinita collezione di mortiferi dettagli sonori.
A quiet place offre tutto quanto possiamo aspettarci da un buon film horror e molto di più. Ci regala un’inquietudine costante che grida nel silenzio dei lievi rumori che ci accompagnano nel film e nel pubblico al cinema, che assiste in religioso silenzio. Ci regala un’idea originale, all’interno di un genere saturo di copie, remake, sequel e imitazioni. Ci regala una riflessione umana sulle relazioni, sulla cura dei figli, sull’unione nella prova che, per quanto non necessaria in un film di intrattenimento, lascia impresso un profondo senso di ammirazione e rispetto.