La campagna elettorale dovrebbe rappresentare sempre e comunque un momento (meglio, il momento per antonomasia) dell’impegno politico e civile, del democratico diritto/dovere di poter esprimere le nostre preferenze di cittadini. Perciò, ogni volta che le urne chiamano (non state a toccarvi gli zebedei, stiamo solo parlando di seggi), quasi automaticamente ci si focalizza su un partito, all’interno del quale seguire il candidato per noi più interessante, coglierne dal vivo proclami e propositi, apprezzarne l’eloquio, scorgerne le sfumature, utili a percepire se il nostro voto sarà ben assegnato o se, altrimenti, dovremo, anche all’ultimo istante, cambiare cavallo (sperando che, per non cadere dalla sua sella, non si finisca per montare un ronzino).
La nostra scelta l’abbiamo fatta: quest’anno abbiamo optato per la candidata più “mari e monti” che ci sia. In corsa con il Pd, candidata in Sicilia, a Cremona, Mantova e nel collegio Lazio 3, ma soprattutto in Alto Adige, dove di boschi ce ne sono tanti, ma di Boschi (la sottosegretaria di Stato alla Presdienza del Consiglio, Maria Elena Boschi) ce n’è una sola. Così, armati di taccuino e di virtuale picozza, l’abbiamo seguita nella locale sede del Pd (fossimo saliti fin lassù, a Bolzano, per ascoltare la candidata del centrodestra, Michaela Biancofiore, anziché seguirla, avremmo scritto “l’abbiamo colta nella locale sede di Forza Italia”), all’inizio della sua campagna elettorale.
A nostro parere, due sono stati i passaggi chiave nella conferenza stampa della nostra beniamina in pectore. La prima: “Non ho mai messo in discussione le Regioni a statuto speciale, anzi il Pd ha sempre tenuto alla salvaguardia delle minoranze linguistiche”. E la seconda: “Non parlo tanto tedesco, ma mi impegnerò ad ampliare le mie conoscenze della lingua”.
A nostro avviso, due indimenticabili momenti verità. Partiamo dal primo: le minoranze linguistiche la Boschi le ha sempre difese. Si prenda il caso Banca Etruria, fallita e salvata dal governo, nonostante migliaia di piccoli risparmiatori (e non) finiti sul lastrico. E’ l’istituto finanziario nel quale papà e fratello ci lavoravano. Ma le minoranze linguistiche? Calma e gesso, ci arriviamo, se ce ne date il tempo. Il nome Etruria vi dice niente? E’ quel lembo di terra tra Toscana, Umbria e Alto Lazio, un tempo abitata dagli etruschi, che ovviamente parlavano l’etrusco. E oggi, chi diavolo parlerà ancora l’etrusco? Poche, pochissime persone davvero: in pratica, solo i vertici della Banca Etruria. Va da sé che l’etrusco mica è facile né da parlare né tantomeno da scrivere o da capire; anzi, è un idioma quasi al limite dell’incomprensibilità. Come conferma Wikipedia: “L’etrusco è caratterizzato da una struttura grammaticale dal carattere sintetico, specificamente agglutinante, che condivide ad esempio con le lingue caucasiche, le lingue dravidiche, le lingue uraliche e le lingue altaiche; inoltre è probabilmente caratterizzato dall’ergatività di tipo passivo, caratteristica che condivide per esempio con la lingua basca, la lingua berbera, la lingua curda e la lingua sumera”. Ecco il punto: e se i vertici di Banca Etruria, in assoluta buona fede e per il bene della cultura, avessero spiegato ai propri risparmiatori i loro prodotti in lingua etrusca? Che l’equivoco sia nato da lì? Certo, anche ‘sti correntisti ignari della lingua dei loro avi… Vuoi, dunque che la Boschi, forte della parentela con qualche vertice, non si preoccupi di salvaguardare e promuovere questa minoranza linguistica? E’ doveroso auspicarlo e sperarlo, per l’Etruria e i suoi risparmiatori.
E veniamo al secondo punto. La Boschi ignora il tedesco. Anche qui di certo non mente. E che si stia impegnando a impararlo, non v’è dubbio. Parecchi testimoni (suoi elettori e non) giurano di averla vista entrare in un negozio di calzature a Sterzing (Vipiteno) per comprare un paio di zoccoli di legno, intimando al negoziante, senza comunque venir meno al suo consueto “charme” e con un pizzico di teutonico candore (in corsivo evidenziamo le sue parole pronunciate in tedesco): “Guten tag Armin, vorrei un paio di Zoeggeler!”. Oppure a Brixen (Bressanone), in una pasticceria: “Vorrei una fetta di torten … quella lì… al cioccolato e Perathoner, danke!”. E ancora: a Bozen (Bolzano), apostrofata duramente da un passante evidentemente non pd, ha saputo prontamente rispondere, non perdendo il serafico “aplomb”: “Mi scusi, Herr, la prego di non fare lo Strunz con me e di abbassare i Thoeni!”. A Wolkenstein (Selva di Val Gardena), in un ristorante, con grinta ma con composta cortesia, ha ordinato al cameriere: “Kammerlander, mi porti un piatto di cadenerli!”. A Schlanders (Silandro), in un emporio di vestiti: “Questo abito è davvero wunderbar! Dove posso rimirarmi in uno speck?”.
Alla prossima conferenza stampa, alla domanda del solito insidioso giornalista di destra: “Come va con il tedesco? Lo sta imparando?”, la nostra Maria Elena, non contravvenendo alla sua proverbiale sincerità, risponderà con voce ferma e dolcemente inflessibile: “Penso proprio di sci!”.