“È la somma che fa il totale” diceva Totò in Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi. Ma Quello che non so di lei (brutto titolo italiano di D’àpres une histoire vraie, ovvero tratto da una storia vera) sembra negare l’affermazione del principe De Curtis. Perché la somma tra la regia di Roman Polanski e la sceneggiatura di Olivier Assayas non è all’altezza del talento dei due.
Il racconto – ispirato a un romanzo di Delphine de Vigan – parla di una scrittrice interpretata da Emanuelle Seigner che comincia a ricevere delle lettere minatorie dalla sua famiglia dopo che ha scritto un romanzo di successo sulla madre. A soccorrerla sarà L., una sua fan che comincerà a farle da assistente, prima di cominciare a invadere sempre più la sua privacy.
Come dal plot si può evincere, Assayas rilegge un romanzo già affine ai propri interessi come se dovesse chiudere una trilogia sulla duplicità e la sovrapposizione di corpi e personalità (soprattutto in ambito artistico-spettacolare) cominciata con Sils Maria e proseguita con Personal Shopper, mentre Polanski ne approfitta per continuare a ragionare sulla manipolazione, sul ricatto, sul dominio psicologico come chiave di comprensione dei rapporti. Il problema è che Quello che non so di lei è la bozza di un grande film che alla fine dei conti pare un film non del tutto riuscito.
Innanzitutto perché è un film totalmente di maniera, in cui i temi dei due autori sembrano replicarsi senza approfondirsi come fosse un film à la Polanski (o Assayas) e non di; ma soprattutto perché regia e sceneggiatura anziché compenetrarsi sembrano respingersi, si sfuggono inseguendosi di continuo come se regista e sceneggiatore cercassero di capire l’altro prima che far aderire il racconto a loro stessi andando a fondo degli elementi che lo compongono.
Per esempio, dal punto di vista della scrittura il film affonda troppo il pedale per restare sul metafisico e farne un film raffinato o teorico (come proprio di Assayas), ma non raggiunge mai i tocchi di cattiveria e crudeltà che vorrebbe suggerire e che farebbero felice la regia di Polanski, il quale non è troppo ispirato, si dedica alle sue attrici prima che alle atmosfere e alle inquadrature, gioca sul sicuro quanto a tensione, ma poi chiude con un facile sberleffo, quasi in diminuendo.
Più di ogni altra cosa quindi, Quello che non so di lei è un film incompiuto e irrisolto anche e sorprendentemente dal punto di vista visivo e tecnico, in cui il fascino è tutto nelle intenzioni, nelle premesse e nelle attese. È un film che in un certo senso vive nella testa dello spettatore, in quello che voleva e poteva essere. E forse in modo paradossale, arriva così a una certa coerenza, seppur poco soddisfacente.