MIUR, I FINANZIAMENTI ALLA RICERCA NEGLI ATENEI
Uno dei servizi che andranno in onda nella prossima puntata di Report questo lunedì su Rai 3 sarà quello che, a firma di Giulia Presutti, indagherà le modalità (a volte controverse e che sono state di recente criticate) con cui l’Anvur elargisce a cadenza annuale le risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Istruzione a favore degli atenei italiani per portare avanti la ricerca scientifica. Nel programma condotto da Sigfrido Ranaldi, infatti, il reportage intitolato emblematicamente “Per una fetta di torta” dal momento che la cifra di cui si parla è di quasi 7 miliardi di euro e, come è noto, circa il 20% (dunque un quinto) di queste risorse vengono distribuite mediante dei criteri meritocratici, ovvero una vera e propria pagella che viene stilata da quello che è un ente pubblico (ovvero l’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) che dipende direttamente dal MIUR e che, almeno in linea teorica, dovrebbe esprimere autonomamente le proprie valutazioni. Ma è proprio così?
LE CRITICHE ALL’ANVUR
Insomma, nella lunga inchiesta realizzata dalla Presutti e che andrà in onda nel nuovo appuntamento di Report si cerca di mettere in luce (attraverso le parole di coloro che sono stati premiato, al contrario, non ritenuti meritevoli di essere finanziati) il modo in cui viene sovvenzionata la ricerca scientifica e quali sono i criteri per valutare gli studi che, ogni anno, le diverse Università italiane presentano all’Anvur per essere finanziati. Infatti, già in passato era emerso come alcune delle metodologie usate per assegnare i voti alle ricerche presentasse delle lacune. Ad esempio, comunità scientifiche e legate al mondo accademico hanno in passato presentato delle mozioni contro l’ente pubblico, criticandone l’approccio alla valutazione che, stando a loro, è ancora troppo legato alla bibliometria e alla statistica alla ripartizione di risorse che sono comunque sempre più scarse. Inoltre, da più parti è stato messo sotto accusa anche il presunto “nepotismo” che mortificherebbe la ricerca in Italia, senza dimenticare nemmeno il fatto che le valutazioni di cui sopra prediligono spesso criteri quantitativi anziché qualitativi.