È stata una strana edizione degli Oscar, quella che si è conclusa stanotte. Con una suddivisione di premi che farebbe pensare a una pluralità di vincitori, quindi a nessun vincitore assoluto. In realtà, i vincitori sono soprattutto due, e lo sconfitto (ingiustamente, a nostro parere) uno più di altri. Innanzitutto, se le parole hanno un senso, il vincitore è chi porta a casa la statuetta per il miglior film: ovvero, Argo di Ben Affleck. Vincitore meritato: era il film più bello, più completo nella sintesi tra Storia (la vicenda dei sei ostaggi americani liberati rocambolescamente dall’Iran degli Ayatollah oltre trent’anni fa, pagina tenuta segreta per decenni), spettacolarità, qualità artistiche (il montaggio e l’adattamento della sceneggiatura, non a caso premiati con altre statuette, ma anche un gruppo di attori perfetti senza strafare) ed esaltazione del valore del Cinema; qui vero strumento salvifico per la vicenda e per le singole vite dei personaggi. Oltre a una serie di sottotrame (il valore della famiglia, per esempio) e sfumature emozionanti. Tre statuette sono poche per un trionfatore? È già successo in passato.
Dal punto di vista numerico, in effetti, il maggior numero di premi laurea Vita di Pi come la sorpresa dell’anno e come l’altro vincitore. Il film di Ang Lee, premiato inaspettatamente quattro volte per la regia, la fotografia, gli effetti visivi e la colonna sonora, ha capitalizzato due premi tecnici che puntavano sulle qualità visive del film e che sono “confluite” anche in un giudizio sulla regia. In questo modo, specularmente, hanno condannato Lincoln di Steven Spielberg a una sconfitta pesante e ingiusta. Con dodici nomination era il favorito assoluto; e la storia del presidente degli Stati Uniti che abolì la schiavitù sembrava invincibile a priori. Se si aggiunge la grande qualità dell’opera, risulta incomprensibile che l’Academy gli abbia lasciato solo due statuette: miglior attore protagonista al gigantesco Daniel Day-Lewis e miglior scenografia.
Ne risulta un giudizio severo, come se il film poggiasse solo su una grandissima interpretazione e sugli arredi… E invece è un’opera che lascerà il segno (molto più di Vita di Pi), e che segna un “picco” nella carriera di Spielberg. Che non è mai stato amato da chi vota agli Oscar: ha vinto tanto, nella sua carriera, ma spesso meno dei suoi meriti.
Per il resto, la polverizzazione delle scelte in tanti premi ha il merito di sottolineare un’annata ricchissima di grandi film, apprezzati anche dal pubblico di casa nostra: il musical Les Miserables vince tre premi (Anne Hathaway come miglior attrice non protagonista, trucco e sonoro), Django Unchained due (Christoph Waltz come miglior attore non protagonista e la miglior sceneggiatura originale, firmata dal regista Quentin Tarantino), uno solo ma pesante per Il lato positivo, con il premio alla miglior attrice protagonista per la giovane Jennifer Lawrence che ha sconfitto rivali bravissime come Jessica Chastain di Zero Dark Thirty, Naomi Watts di The Impossible, e poi la più anziana (l’ultra ottuagenaria Emmanuelle Riva di Amour) e la più giovane (Quvenzhané Wallis, la strepitosa bambina di Re della terra selvaggia). E poi premi “tecnici” a Anna Karenina, Zero Dark Thirty, Skyfall (anche la canzone omonima, bellissima), e l’Oscar come miglior film straniero all’austriaco Amour di Michael Haneke (ma francese per produzione e lingua). Mentre per l’animazione ha vinto sicuramente il migliore: Ribelle – The Brave. Ancora una volta un film Pixar, guarda caso.
Su tutti però, ogni anno, si stacca nel ricordo l’ultimo premiato: Argo di Ben Affleck, rafforzato da un annuncio a sensazione, con il collegamento video con la first lady Michelle Obama dalla Casa Bianca. Che ha aperto la busta del “winner” e ha proclamato il vincitore. Una vittoria che laurea quello che a lungo è stato considerato (anche da chi scrive) solo come un attore abbastanza mediocre e poi è diventato un regista notevole, fin dall’esordio in Gone Baby Gone e poi con il successivo The Town. Al terzo film, ben prima dei suoi grandi modelli (i registi-attori Robert Redford, Clint Eastwood, ma anche George Clooney che ha prodotto il suo film) è arrivata la consacrazione di un nuovo grande regista, senza spocchie da “autore”, che arricchisce una Hollywood che, a fronte di mille problemi del cinema e dell’economia americana e mondiale, si sente più vitale che mai.