È probabile che le anticipazioni dei media non rendano giustizia al piano Fenice di Banca Intesa, fornendone una descrizione frammentaria che non permette di osservarne con accuratezza il disegno generale. Questo fatto non ci esime tuttavia dal mettere in evidenza gli aspetti non convincenti di questa specie di tela di Penelope che sembra crescere di giorno, sin quasi ad arrivare al completamento, e restringersi nuovamente la notte.
Una prima area problematica riguarda l’ammontare dei capitali che i nuovi investitori sarebbero disponibili a conferire, indicato dai media tra i 700 milioni e il miliardo di euro, e il loro possibile utilizzo: (i) si tratta di una cifra esigua rispetto alle esigenze di rilancio di Alitalia poiché ha lo stesso ordine di grandezza della perdite dell’azienda che Citigroup prevede per il 2008 ed equivale al prezzo di acquisto di appena 12-17 aerei a medio raggio (un decimo dei vetusti velivoli di Alitalia che sarebbe necessario sostituire per risparmiare sui consumi di carburante e sulle manutenzioni); (ii) in secondo luogo, se i nuovi fondi saranno destinati ad acquisire prioritariamente gli asset di Alitalia senza i relativi debiti non saranno più disponibili per effettuare i nuovi investimenti; se finalizzati, invece, ai nuovi investimenti, richiederanno di pagare il meno possibile Alitalia e questo obiettivo implicherà di assumere insieme all’attivo patrimoniale anche i debiti della compagnia.
Una difficoltà ulteriore riguarda il rispetto dei requisiti di solidità economico-finanziaria richiesti ai vettori aerei, motivati dal fatto che poiché essi vendono posti su voli futuri devono anche disporre delle risorse per garantirne l’effettuazione. Le norme italiane richiedono al riguardo la disponibilità finanziaria per sostenere i costi dei voli programmati nei successivi tre mesi (negli altri Paesi sono richiesti in genere sei mesi). Il problema è che i costi di tre mesi di operatività di Alitalia sono pari, estrapolando dal primo trimestre, a 1,2 miliardi di euro e che nelle casse dell’azienda vi è solo una frazione molto ridotta di tale ammontare (meno di un terzo).
Anche detraendo dai costi trimestrali di Alitalia gli ammortamenti, che non richiedono esborso finanziario, e assumendo una riduzione dell’offerta del vettore servirebbero comunque circa 800 milioni per rispettare il requisito. In sintesi, l’importo che la costituenda cordata dovrebbe mettere a disposizione servirebbe in realtà tre volte: per comperare gli asset di Alitalia; per effettuare nuovi investimenti; per garantire le risorse economiche necessarie per l’effettuazione di tre mesi di attività; grosso modo servirebbe un importo triplo.
Una seconda area problematica riguarda l’annunciata scissione tra una new company e una bad company. Dalla lettura dei quotidiani di questi giorni sembrerebbe che la scissione di Alitalia debba avvenire “tagliando” lo stato patrimoniale dell’azienda in verticale: da un lato le attività patrimoniali (essenzialmente aerei e immobili), dall’altro lato le passività (i consistenti debiti).
Nella realtà non può essere così: il “taglio” avviene in orizzontale e a fronte di attività patrimoniali cedute ai nuovi investitori per poter esercitare l’attività aeronautica vengono anche trasferiti debiti per un ammontare equivalente oppure gli asset ceduti sono pagati dagli acquirenti per il loro valore (oppure un mix delle due modalità).
La scissione di una new company da una bad company ha senso in presenza di dissesto patrimoniale, quando l’ammontare dei debiti risulta superiore al valore delle attività e la loro vendita eventuale non sarebbe in grado di garantire il rimborso integrale ai creditori. Quando si verifica un caso di questo tipo il dissesto patrimoniale è in grado di affossare anche l’attività industriale dell’azienda (che potrebbe essere sana) poiché essa non potrà avvalersi di nuovi finanziamenti e i creditori premeranno affinché i beni capitali siano distolti dalla produzione e ceduti per rimborsare i debiti.
In questi casi vi sono due strade: (i) quella del fallimento, procedura nella quale l’attività produttiva viene interrotta e gli asset ceduti non più funzionanti al fine di rimborsare pro quota i creditori; (ii) quella regolata dai provvedimenti che prendono il nome di Prodi e Marzano: l’attività produttiva viene salvaguardata dalle pretese dei creditori ed è ceduta funzionante sul mercato dal commissario mentre i proventi ottenuti sono utilizzati per rimborsare pro quota i creditori della società preesistente che è posta in liquidazione (bad company nella quale è rimasto il buco patrimoniale).
Alitalia non si trova tuttavia in una condizione di questo tipo e il suo patrimonio netto è (per ora) positivo: a fine 2007 ammontava a 381 milioni di euro, valore ridottosi a 166 milioni a fine marzo 2008 a causa delle perdite del primo trimestre (si tratta di un valore prossimo ai 135 milioni offerti proprio a fine marzo da Air France). Da aprile ad oggi il patrimonio netto è aumentato per effetto del conferimento di 300 milioni e si è ridotto per le perdite del periodo che non conosciamo ancora, ma che non sono state certamente in grado di azzerarlo.
Poiché il patrimonio netto è positivo, il valore degli asset è pienamente in grado di rimborsare i debiti esistenti e non appare conveniente la creazione di una bad company destinata alla liquidazione. Se gli asset sono utili all’attività aeronautica è molto meglio che siano ceduti in blocco ai nuovi investitori assieme ai debiti; in tal caso i nuovi investitori: (a) comprano dal Tesoro Alitalia nello stato attuale (attività e debiti); (b) conferiscono i nuovi fondi aumentando il capitale e li utilizzano per fare investimenti; (c) ristrutturano l’azienda. È la stessa strada che avrebbe utilizzato Air France.
Nel caso contrario occorrerebbe: (a) adeguare la legge Marzano; (b) commissariare l’azienda; (c) mettere in vendita l’insieme degli asset necessari per svolgere il servizio aereo (sotto forma di newco o verso una newco); (d) cederli per cassa, preferibilmente tramite asta; (e) liquidare la bad company rimborsando i creditori con i proventi della cessione.
La seconda procedura è molto più lunga e incerta, richiedendo anche modifiche normative; sottrae risorse fresche ai nuovi investimenti; sottopone l’azienda al rischio di interruzione dell’attività, evento in grado di mettere a repentaglio le residue quote di mercato e il mantenimento in capo all’azienda degli slot aeroportuali (i quali dovrebbero essere riassegnati in caso di inutilizzo prolungato). Comprometterebbe in sostanza la possibilità stessa di ripresa dell’attività.
Se la soluzione Alitalia tarda, le disponibilità finanziarie del vettore sono destinate a esaurirsi e il rischio di sospensione dei voli ad aumentare. Con l’aumento di questo rischio i passeggeri saranno orientati in maniera crescente a rivolgersi ad altri vettori, peggiorando ulteriormente il conto economico e la liquidità dell’azienda. In tal modo renderanno impossibile la soluzione della crisi poiché saranno i grado di mettere in fuga anche gli investitori potenziali.
Il progetto di passaggio proprietario deve essere pertanto il più semplice possibile e, poiché deve risultare realizzabile in poche settimane, non può permettersi di richiedere cambiamenti nel quadro normativo che accrescerebbero tempi e incertezza. Se non risponderà a questi requisiti rischierà di risultare inutile.