Nonostante non si conoscano i conti economici del primo semestre di Alitalia perché il Consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto riunirsi l’8 agosto per il loro esame è stato rinviato di tre settimane, i dati industriali sono sufficienti a evidenziare una situazione molto critica e in ulteriore deterioramento.
In giugno hanno volato con la compagnia di bandiera 477.000 passeggeri in meno rispetto allo stesso mese del 2007, nel trimestre aprile-giugno la riduzione complessiva è stata di poco inferiore al milione e mezzo di unità (-23% sullo stesso periodo 2007) e nell’intero primo semestre 2008 di circa due milioni.
A fine anno, se Alitalia riuscirà a completarlo senza interruzioni di attività e in assenza di drastiche correzioni di rotta gestionali di cui non si vede per ora traccia, sono prevedibili 19 milioni di passeggeri complessivi a fronte dei 24,4 del 2007, con una diminuzione superiore ai 5 milioni.
I dati relativi alla quota di mercato segnalano in maniera ancora più robusta come il vettore di bandiera stia diventando sempre più marginale nel mercato italiano del trasporto aereo: nel secondo trimestre 2008 hanno volato con Alitalia solo 17 passeggeri su 100, nel primo trimestre erano 22 e nel quarto trimestre dello scorso anno 24. Nel 2008 il vettore più utilizzato sui voli infraeuropei da e per l’Italia (segmento nazionale e internazionale infracomunitario) risulterà per la prima volta Ryanair con 16 milioni di viaggiatori, mentre Alitalia figurerà solo secondo, con alcune centinaia di migliaia in meno.
Due sono i fattori all’origine della consistente caduta nel numero dei passeggeri: (a) in primo luogo la riduzione dell’offerta effettuata da Alitalia con l’abbandono di Malpensa a inizio aprile, derivante dallo spostamento a Roma della quasi totalità dei voli intercontinentali e dalla soppressione di molti voli domestici di alimentazione di Malpensa assieme a collegamenti diretti tra questo aeroporto e diverse destinazione europee; (b) in secondo luogo la crisi di fiducia sulla continuità operativa del vettore che si è creata anch’essa a inizio aprile a seguito della rinuncia di Air France e che ha indotto molti passeggeri a cambiare prudenzialmente compagnia.
È difficile stimare con precisione quanto questi fattori, casualmente concomitanti, abbiano singolarmente pesato sulla riduzione complessiva della domanda; si può tuttavia ragionevolmente ipotizzare che la riduzione dell’offerta sia responsabile per una quota compresa tra un terzo e metà del calo complessivo dei passeggeri (da 8 a 11 punti percentuali) mentre la crisi di fiducia sulla continuità del vettore abbia pesato per una quota compresa tra le metà e i due terzi (da 11 a 16 punti percentuali).
La riduzione dell’offerta, pari al 15% dei posti km disponibili nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, aveva per obiettivo di risparmiare i costi dei voli soppressi e di spostare buona parte dei relativi passeggeri e ricavi ad altri voli dello stesso vettore, accrescendone il load factor. Questa strategia richiedeva, per rivelarsi efficace, di ridurre da un lato i costi operativi totali del vettore in misura maggiore rispetto alla diminuzione dell’offerta, in modo da abbassare i costi unitari (costi operativi per posto km offerto), e dall’altro lato di contenere la riduzione del traffico al di sotto della riduzione dell’offerta, in modo da accrescere load factor e proventi per posto km offerto. Queste due condizioni avrebbero dovuto ridurre, ed eventualmente capovolgere, la forbice esistente tra costi e ricavi per posto km offerto.
Nella realtà la strategia sottostante il piano dell’amministratore delegato Prato è stata vanificata da entrambi i lati. Sul fronte della domanda l’abbandono della trattative da parte di Air France ha fatto emergere un’elevata incertezza sulla continuità operativa di Alitalia che ha creato nei consumatori il timore che il volo del quale si stava comperando il biglietto potesse non essere effettuato e li ha indotti a spostarsi su compagnie finanziariamente più solide; in tal modo la riduzione della domanda (posti km acquistati) è stata nel secondo trimestre molto superiore alla riduzione dell’offerta (-23% contro -15%), il load factor è diminuito di quasi otto punti percentuali (dal 77 al 69%) e i proventi, sia totali che per posto km offerto si sono ridotti (il c.d.a. di Alitalia ci dirà il 29 agosto di quanto).
Sul fronte dei costi, a loro volta, due fattori hanno finito per vanificare il piano Prato: l’aumento consistente dei costi del carburante, dovuto alla nuova crisi petrolifera, e il rinvio alla nuova cordata Intesa, nonostante l’urgenza, di qualsiasi provvedimento di ristrutturazione gestionale; grazie ai due fattori indicati i costi operativi totali dovrebbero essere aumentati nel secondo trimestre anziché diminuiti e i costi per posto km offerto sensibilmente accresciuti. In tal modo la forbice negativa tra costi e ricavi per posto km offerto dovrebbe essersi ampliata in maniera consistente anziché ridotta, come invece richiesto dagli obiettivi del piano Prato.
A livello di conti aziendali non è semplice convertire le tendenze sopra indicate in previsioni di cifre di bilancio precise. Si può tuttavia stimare che il secondo trimestre abbia risentito di minori ricavi da passeggeri per 200-230 milioni di euro i quali sarebbero da soli in grado di portare il risultato operativo del trimestre a -250/-300 milioni (rispetto ai circa -60 milioni dello stesso periodo 2007) e quello del primo semestre a -500/-550. Si noti che queste stime non incorporano alcun effetto netto degli accresciuti costi petroliferi i quali è prevedibile abbiano più che neutralizzato i risparmi ottenuti attraverso i voli soppressi (e relativi a voci quali manutenzioni, consumi di carburante, diritti aeroportuali e di assistenza al volo).
Con questi dati di mercato e aziendali così deteriorati il salvataggio di Alitalia appare sempre più come una mission impossible poiché passeggeri e quote di mercato si possono perdere rapidamente, come si è appena visto, ma si riconquistano se va bene solo con grande difficoltà e lentezza.
La riduzione dei passeggeri, generata dalla crisi di fiducia sulla continuità operativa del vettore, deteriora load factor e ricavi senza far risparmiare sui costi, i quali dipendono quasi totalmente dall’offerta, dai voli programmati; essa peggiora in conseguenza il risultato della gestione industriale e quello di bilancio e richiede un azionista dalle spalle finanziarie molto larghe e dalle idee di ristrutturazione molto chiare. Le seconde debbono essere in grado di rimettere in piedi la gestione aziendale, le prime di sostenere le perdite che si continueranno inevitabilmente a manifestare nel periodo di attuazione della ristrutturazione.
Air France disponeva della solidità finanziaria necessaria e molto probabilmente anche del know how richiesto per attuare una seria ristrutturazione, desumibile dalla capacità di uscire dalla sua crisi della prima metà degli anni Novanta sino a divenire, dopo l’integrazione con KLM, il primo vettore mondiale. Dell’incerta cordata Intesa-San Paolo è invece lecito dubitare in relazione tanto al primo aspetto, quanto soprattutto in relazione al secondo.