Il 26 maggio del 1955, esattamente 60 anni fa, moriva Alberto Ascari, indiscutibilmente il più grande pilota italiano del dopoguerra, ultimo nostro connazionale a vincere il Campionato Mondiale di Formula Uno nelle due fantastiche stagioni 1952 e 1953. La sua popolarità nel nostro paese raggiunse livelli altissimi fino a farlo diventare un vero e proprio beniamino delle folle ed anche per questo la sua tragica scomparsa a Monza, esattamente trenta anni dopo quella di suo padre Antonio a Montlhéry, durante il Gran Premio di Francia 1925, causò un’ondata di emozione enorme nell’opinione pubblica italiana ed in tutto il mondo sportivo del tempo.
Talento naturale straordinario, Alberto era, come detto, figlio d’arte: suo padre Antonio era stato uno dei più grandi campioni automobilistici degli anni ’20, trionfatore con l’Alfa Romeo ai Grand Prix – come li chiamavano allora – d’Italia e del Belgio nel 1924, prima di perdere la vita l’anno successivo durante la corsa francese che si teneva allora in un piccolo e pericoloso autodromo vicino a Parigi. Forse anche per questo Alberto iniziò non iniziò a correre con le auto, ma con le motociclette, esordendo nel 1936 ed entrando nella squadra ufficiale Bianchi nel 1938. Nel 1940 ricevette una chiamata da un vecchio compagno di squadra di suo padre che gli propose di portare in corsa, nella Mille Miglia, una nuovissima vettura che si chiamava “Auto Avio”: quell’uomo si chiamava Enzo Ferrari e la sua “T810” – che non poteva ancora portare il suo nome per via di un accordo commerciale stretto con la Alfa Romeo – permise ad Ascari di iniziare a prendere contatto con le quattro ruote.
Otto anni dopo, Ferrari si ricordò di quel ragazzo schivo e serio e gli offrì un volante nella sua nuova Scuderia. Nell’immediato anteguerra Ascari aveva serrato una amicizia strettissima con Luigi Villoresi, pilota esperto e capace, che ebbe una parte decisiva nella sua formazione e maturazione. Dopo il conflitto, che aveva bruscamente interrotto le loro carriere, Ascari e Villoresi, che erano inseparabili compagni di squadra, passarono alla Scuderia Ambrosiana, che aveva in gestione le Maserati ufficiali, ottenendo numerosi successi. Fu nel 1949 che i due furono ingaggiati in coppia dalla neonata Scuderia Ferrari, che stava preparando la prima stagione del Campionato del Mondo di Formula Uno. Lo stile di Ascari era pulito, preciso ed estremamente attento al mezzo meccanico, eppure nel contempo aggressivo e veloce, capace in genere di mettere sotto pressione gli avversari fin dalle prime battute della corsa e non lasciare loro spazio di recupero.
Era anche un uomo tranquillo, attaccato alla famiglia che quando non correva trascorreva il suo tempo nella sua casa di Milano con la moglie Mietta, che gli aveva presentato Villoresi, ed i due figli. Unica “concessione” istrionica, la scaramanzia, spesso scherzosamente ostentata, per cui non saliva in auto se non seguendo rituali precisi e con la stessa maglietta e casco azzurri. Il binomio Ascari-Ferrari fu uno dei più strepitosi connubi sportivi mai visti su una pista. Le stagioni ’52 e ’53 furono da record, con un numero di vittorie clamoroso: nel 1952, ad esempio, Ascari vinse tutte le gare in cui partecipò, rimanendo in testa dall’inizio alla fine di ognuna di esse. Non vinse soltanto in Svizzera ma semplicemente perché rinunciò alla gara per tentare una coraggiosa ma sfortunata partecipazione alla 500 Miglia di Indianapolis, con una versione modificata della 375 del 1951, lasciando così la vittoria al compagno di squadra Taruffi. Fu proprio per questi straordinari successi che…
…il suo divorzio dal Cavallino con conseguente passaggio alla Lancia per la stagione ‘54, fu un vero terremoto per il mondo delle corse. La nuova Lancia, però, denunciò inattesi problemi di messa a punto e fu pronta troppo tardi; l’annata così si perse, nonostante la parziale consolazione della vittoria alla Mille Miglia. Il debutto in Spagna nell’ultima gara della stagione fu però incoraggiante, con Ascari subito in pole position, anche se rovinato da un cedimento meccanico che consegnò la vittoria ad Hawthorn. Ma le aspettative per il ’55 erano fortissime e la stagione doveva vivere sul duello Lancia-Mercedes, ovvero Ascari contro Fangio. In Argentina Ascari dominò la corsa fino a quando un’asperità del terreno non lo fece uscire violentemente di pista.
A Monaco era nettamente primo fino al celebre incidente nella zona del porto in seguito al quale finì in mare e fu miracolosamente “ripescato” vivo e con pochi danni mentre la sua vettura colava a picco nelle acque del Principato. Lui che aveva avuto solo rarissimamente incidenti, subì molto il contraccolpo di questi due e forse proprio per esorcizzarli, contro il parere dei medici, cinque giorni dopo il “botto” di Montecarlo, volle provare a Monza la Ferrari Sport che Eugenio Castellotti doveva guidare al GP Supercortemaggiore a Modena. Era il fatidico 26 maggio. In quella assolata domenica trovò la morte, senza testimoni, con una dinamica mai del tutto chiarita nella curva che ora porta il suo nome. Quel giorno era arrivato alla pista in borghese, aveva deciso di fare qualche giro di prova solo all’ultimo momento e sulla macchina non indossava né il suo casco né la sua solita maglietta. L’Italia non trovò più da allora, un così straordinario talento.