Con la nomina di Salvatore Rossi a direttore generale, in Banca d’Italia sembra davvero chiudersi una stagione e aprirsene un’altra: il tutto confermato dalla designazione di Valeria Sannucci come nuovo vicedirettore generale, a completare il direttorio di Via Nazionale. Una svolta – non solo generazionale – era già maturata diciotto mesi fa, con l’ascesa di Ignazio Visco da vicedirettore generale “junior” a governatore. Ma il passaggio, come tutti ricordano, era stato tutt’altro che liscio. Con Mario Draghi già con le valige in mano con destinazione Bce e soprattutto con l’Italia nel pieno della crisi politico-finanziaria dello spread, il neo-governatore fu il risultato oggettivo di un compromesso affrettato e faticoso. Da un lato ci fu la bocciatura traumatica di Fabrizio Saccomani, direttore generale e governatore “in pectore”, su indicazione congiunta dello stesso Draghi nonché di Carlo Azeglio Ciampi, governatore onorario prima ancora che presidente emerito della Repubblica. Dall’altro vi fu il muro di Via Nazionale contro l’arrivo del direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli: un ex giovane brillante del vivaio Bankitalia, gravato però dall’ombra (vera o presunta) dell’esser stato “civil servant” soprattutto del superministro Giulio Tremonti.
Ora Saccomanni succede in Via XX Settembre a Grilli, succeduto nel frattempo a Tremonti come ministro tecnico nell’esecutivo Monti: ma su questo, su queste pagine, abbiamo già brevemente annotato. In Bankitalia, dopo l’uscita di scena di Anna Maria Tarantola verso la presidenza Rai, la stanza dei bottoni è d’altronde ora rinnovata pressoché per intero: Rossi vi porta la grande tradizione economistica del Servizio studi; Sannucci testimonia un raccordo operativo sempre più stretto e strategico con l’Eurosistema, così come, poche settimane fa, la promozione a vicedirettore generale di Luigi Signorini ha marcato in modo del tutto giustificato un’attenzione speciale per le problematiche della vigilanza bancaria (e ora Bankitalia è anche architrave dell’Ivass, estendendo la supervisione anche ad assicurazioni e fondi pensione).
“Think tank” politico-economico del Sistema-Paese; “azionista-partner” della Bce, sia nell’Unione economico-monetaria sotto pressione, sia nell’Unione bancaria in cantiere; “banca delle banche” ancora irrinunciabile in un’Italia che mai potrà rinunciare al suo sistema creditizio come infrastruttura dell’Azienda-Paese. La “nuova” Bankitalia di Visco e dei suoi tecnocrati “senior” riparte da queste tre “mission”, nella cui implementazione via Nazionale vanta un “track-score” di tutto rispetto.
Nelle ultime settimane, in queste pagine di diario finanziario nazionale, non abbiamo fatto mancare qualche critica: su alcune mosse sul terreno della vigilanza, cioè della politica creditizia. D’ora in poi, certamente, guarderemo con nuova curiosità alle decisioni di un “team” di banchieri centrali che solo oggi appare completo nella sua formazione e quindi davvero in grado di mettersi alla prova. Né sorprende che ciò avvenga in contemporanea con la nascita di un esecutivo egualmente “di svolta generazionale”.
Proprio Enrico Letta, nel suo discorso d’insediamento, ha insistito sulla necessità che nel dibattito pubblico italiano si torni a parlare «il linguaggio della verità». La Banca d’Italia – certamente sul versante della politica economica – è stata quasi sempre un punto di riferimento indiscutibile ed è solo auspicabile che torni a esserlo pienamente, senza dimenticare un contesto tanto nuovo quanto difficile. In altri anni la “voce della verità” di via Nazionale era rivolta esclusivamente all’interno del Sistema-Paese: anzitutto ai policy-maker di Parlamento e Governo, poi alle imprese e ai sindacati. Oggi i destinatari primi delle cifre e delle analisi di Bankitalia sembrano anzitutto i governanti degli altri paesi-membri dell’Unione europea e i tecnocrati delle sue strutture centrali: certo, è una sfida nuova quella di difendere l’interesse nazionale anche, nel caso, dicendo “verità” scomode o dibattute non presso l’opinione pubblica domestica ma per quella europea. E questo vale – fra l’altro, anzitutto – sul cruciale terreno bancario.
La Banca d’Italia ha al suo attivo l’accompagnamento del riassetto di un sistema creditizio che – a partire dagli anni ’90 – ha mostrato più dinamismo rispetto a sistemi di paesi più evoluti – e ha dato quindi miglior prova sotto l’urto della crisi globale. E’ un “patrimonio nazionale” – questa resistenza strutturale delle banche controllate da Fondazioni e dal sistema cooperativo – che è tuttora consistente non va dilapidato: al pari della ricchezza finanziaria e della residua capacità di risparmio delle famiglie italiane. Non ci stanchiamo di ripeterlo su questo sito: la Banca d’Italia dev’essere in questa fase il primo alleato del governo nel difendere il sistema bancario italiano, senza lasciarlo solo contro i nemici vecchi e nuovi; siano essi sistemi esteri concorrenti, ideologi bocciati dalla realtà o avventurieri dell’antipolitica.
P.S.: Ieri si sono celebrati i funerali di Giulio Andreotti, considerato forse il più acerrimo nemico di Bankitalia nella storia repubblicana in quanto discusso protettore di Michele Sindona. Tra i “peccati” che gli sono stati ascritti nei necrologi vi è la crisi del 1979, quando al governatore Paolo Baffi fu ritirato il passaporto, mentre il vicedirettore generale Mario Sarcinelli fu addirittura arrestato dalla Procura di Roma per il caso Sindona.
Non c’è qui lo spazio e neppure l’intenzione di rammentare quelle vicende complesse: nelle quali, peraltro, il ruolo di Andreotti – in quanto “mandante” dei magistrati – fu e rimase solo presunto. Quello che invece preme qui dire è che di tutto l’Italia ha bisogno oggi fuorché di un’assenza di sintonia fra il governo e la sua banca centrale: di un governo che non ascolti una Banca d’Italia autorevole; di una Banca d’Italia (allora quella di Guido Carli assai più che quella di Paolo Baffi e quindi di Carlo Azeglio Ciampi) che giochi partite proprie – politiche e bancarie – discostandosi dalla missione istituzionale di massima authority indipendente a tutela della stabilità economico-finanziaria del Paese.