Luis Enrique forse aveva ragione nel dire che non si sente un marziano. Di certo il Lucho di Novara-Roma somiglia più a uno “scienziato pazzo” o a uno stregone indù. Oggi lo spagnolo consegna alla storia del campionato la decima formazione diversa su dieci partite. Almeno in questa speciale classifica i giallorossi occupano il primo posto e non sembrano avere grandi rivali. La partita della Roma è figlia dei tormenti del suo allenatore. Il giovane Enrique passa per un rivoluzionario che ama stupire, per il gusto di non essere etichettato e di non apparire mai banale. In realtà il ragazzo è “normale” e vuole portare in Italia, nel nostro calcio, la sua normalità. Che tradotto significa gioco, spettacolo, divertimento e sportività. Ma anche risultati e vittorie.
Quelle che al momento sono mancate e che nemmeno il successo bagnato di Novara può appagare. Luis Enrique parla un buon italiano, ma non abbastanza per comunicare come vorrebbe con i suoi giocatori. Per farsi ascoltare. Per inculcare loro la sua normalità. I cambi continui nell’undici titolare per la nostra mentalità sono da considerarsi destabilizzanti, creano malumori e spifferi negli spogliatoi. Di solito accade così. Ma non in questa Roma. I giocatori l’hanno presa bene. Tutti a rotazione (tranne i due o tre intoccabili) sono passati per la tribuna, sostando in panchina.
Trigoria pare un grande campus estivo. Il prof. Lucho ha una idea precisa, il suo Barcellona B, ma non riesce a trapiantarla in Italia. A questo punto le alternative di Enrique sono due: riadattare le sue idee al nostro campionato oppure tirare dritto per la sua strada. Per ora lo spagnolo non ha ancora preso una decisione. A volte sembra non voler guardare in faccia nessuno, due secondi dopo ti giri e vedi che cerca di mediare rinunciando a qualcosa di suo. Arrigo Sacchi, la cui genesi calcistica somiglia molto a quella dell’asturiano, gli ha consigliato di non tradire la sua filosofia. Anche a costo di farsi cacciare. In effetti all’ex ct della nazionale andò bene: passò dal rischio dell’esonero a quelle vittorie che hanno consegnato il gioco del suo Milan alla storia del calcio mondiale.
Luis Enrique, come il Sacchi degli inizi, gode della fiducia totale del suo presidente e della società. Una rarità in questo mondo del calcio schizofrenico. Lui incarna il progetto-americano, è il progetto-americano. Franco Baldini non lo caccerà mai, casomai è più facile che sia l’allenatore a mollare. E noi sappiamo che il pensiero dell’addio lo ha già sfiorato almeno in due occasioni. Ma sarebbe sbagliato mollare proprio ora che, risultati a parte, la sua Roma sta per nascere. Forse nemmeno lui se ne accorge, ma è così. Per questo con molta umiltà vorremmo fargli arrivare due/tre consigli.
Caro Luis, stasera hai azzeccato la formazione dopo 55 minuti. E, sappiamo bene, che quello di fine partita era l’unici titolare che avevi già in mente quando hai preparato la partita. Ma poi all’ultimo hai voluto provare e riprovare coi tuoi esperimenti. Forse proprio per avere la riprova che la tua prima idea era quella buona, quella vincente. Così è stato. E allora: Pjanic sulla linea del centrocampo a fianco di De Rossi e Gago, Daniele davanti alla difesa e l’argentino più avanzato. Questo è il tuo centrocampo titolare, quello che ti dà più garanzie. E ancora: Lamela nella sua posizione naturale, quella di trequartista dietro le punte Osvaldo e Bojan. Questo è il tuo tridente titolare, in attesa del ritorno di Francesco Totti.
Per quanto riguarda la difesa sospendiamo il giudizio. Portiere a parte, mancano due terzini destri (buona oggi, ma non risolutiva, la prova di Rosi) e almeno un terzino sinistro che si alterni al promettente Josè Angel.
Come vedi, Luis, la tua Roma l’hai trovata. Certo, non è ancora quella che hai in mente, non si avvicina nemmeno lontanamente alla perfezione, ma per ora può bastare. In attesa del mercato di gennaio che ti libererà di alcune “zavorre” e magari ti regalerà quei tasselli che tanto ti mancano. Intanto però divertiti (come proviamo a fare noi) ad ammirare un certo Lamela che gioca a fare il Kakà e un tal Bojan che di colpo si ricorda di essere parente alla lontana di Messi… Scusaci se è poco.
(Claudio Franchini)