Il 1° novembre 2015 il Messico tornerà ad essere teatro di un Gran Premio di Formula 1, 23 anni dopo l’ultima edizione del 1992 che, per la cronaca, fu vinta da Nigel Mansell sulla Williams. Mexico City è una location storica per il motorismo nonostante la sua saltuaria presenza nel calendario del Mondiale, ed ha scritto notevoli pagine nella storia delle corse grazie anche alla spettacolarità del suo tracciato, velocissimo ed impegnativo, che speriamo non sia stata pregiudicata dalle modifiche e dai rallentamenti approntati negli scorsi mesi in vista del “grande ritorno”.
Ma l’avvenimento è segnato da una serie di corsi e ricorsi storici davvero singolari che meritano qualche spunto: il circuito della tentacolare città centroamericana, oltre ad avere la non banale caratteristica di essere costruito ad oltre 2200 metri sul livello del mare, è da tempo intitolato ai due più grandi campioni messicani del volante, i fratelli Ricardo e Pedro Rodriguez, straordinari piloti dalla straordinaria e tragica storia. Non solo: la prima edizione del Gran Premio del Messico, per quell’anno fuori campionato visto che fu inserito nel calendario del Mondiale solo dall’anno successivo, si tenne proprio il 1° novembre 1962, 53 anni esatti prima dell’edizione 2015. E quella non fu una gara qualunque: in essa infatti Ricardo Rodriguez trovò la morte in un tragico incidente a soli 20 anni, un beffardo destino che spezzò una carriera che, fino a quel momento, era stata semplicemente prodigiosa. Pedro e Ricardo Rodriguez, 18 e 16 anni, giunsero in Europa nel 1958 e furono uno dei fenomeni più incredibili e stupefacenti che si abbatterono sul mondo dell’automobilismo di quegli anni. Impossibile raccontare la storia di uno senza tirare in ballo l’altro, anche se, forse, dei due il talento più cristallino era quello di Ricardo. La sua carriera-prodigio fu a dir poco unica nel suo genere: a 14 anni aveva lasciato il ciclismo – specialità in cui era diventato campione messicano di categoria – per correre in auto e a 15 aveva colto la sua prima vittoria in una gara sport a Nassau davanti al fratello, entrambi su una Porsche. Nel 1960, a 18 anni, Ricardo – alla sua terza 24Ore – giunse secondo a Le Mans con una Ferrari della NART condivisa con André Pilette. Pedro e Ricardo giunsero in coppia terzi a Sebring e secondi alla 1000 Km del Nürburgring ’60, vincendo l’anno successivo quest’ultima gara e anche la 1000 Km di Parigi. Enzo Ferrari non rimase certo insensibile al fascino di un talento puro di questo genere e gli affidò una Ferrari di Formula 1 al GP d’Italia 1961. Il debuttante diciannovenne messicano portò subito la macchina in prima fila – battendo il futuro Campione del Mondo Phil Hill, Baghetti e Mairesse – e, nonostante il ritiro in gara per un guasto, si guadagnò un contratto per la stagione ’62. Purtroppo in quell’anno la Ferrari sbagliò completamente lo sviluppo della vettura – le polemiche che ne seguirono portarono alla famosa diaspora di tecnici e piloti che confluirono nell’ATS – affidandosi alla vecchia macchina del ’61 che non era però più competitiva contro BRM, Lotus e Porsche. Fu così un anno difficile per Ricardo dal punto di vista dei risultati, mitigato solo dalla vittoria nella Targa Florio con Willi Mairesse e Olivier Gendebien. Quando a novembre la Ferrari decise di non presentarsi al via del GP fuori campionato del Messico, Ricardo – peraltro piuttosto seccato dalla cosa – rimediò all’ultimo momento una Lotus della Scuderia Walker, ma durante le prove perse il controllo della vettura schiantandosi contro un muretto e rimanendo ucciso sul colpo. Anche se Pedro fu il primo dei Rodriguez De La Vega a darsi all’automobilismo a soli 15 anni, approdò alla F1 più tardi del fratello minore, forse perché il suo talento era meno “naturale” e più incostante, capace di alternare incredibili giornate di grazia ad altre di grigiore assoluto. Riavutosi dallo shock della morte di Ricardo che lo aveva fatto pensare al ritiro, Pedro tornò a correre nel 1963; tuttavia, nonostante una grande vittoria a Daytona con Phil Hill nel ’64 e benché gravitasse già stabilmente nell’orbita delle scuderie Ferrari e Lotus, non ebbe occasioni di correre in Formula 1 se non saltuariamente, di norma in qualità di “wild card” per gli appuntamenti americani. La svolta della sua carriera, tuttavia, è datata 1967: nel GP del Sudafrica, il 2 gennaio, gli venne offerto un po’ per caso il volante della seconda Cooper ufficiale al fianco di Jochen Rindt e al posto di John Surtees che aveva improvvisamente annunciato il suo passaggio alla Honda pochi giorni prima della gara. Pedro sfruttò al meglio l’occasione ed ottenne una sorprendente vittoria che gli valse la conferma nel team e un contratto con la mitica scuderia di John Wyer nel mondiale sportcar. Era fatta. Nel ’68 vinse a Le Mans con Lucien Bianchi su una Ford GT40 e, dopo una negativa parentesi nel ’69 con la Ferrari, nel ’70 raggiunse la definitiva consacrazione: con la BRM in Formula 1 conquistò la sua seconda vittoria, grazie ad una magistrale prestazione a Spa-Francorchamps, nel GP del Belgio, a 241 Km/h di media sulla distanza, un vero e proprio record tuttora imbattuto. Nelle sportcar con la mitica Gulf-Porsche si attestò stabilmente fra i protagonisti assoluti della categoria. Da ricordare una sua straordinaria vittoria alla 1000Km di Brands Hatch sotto la pioggia battente con cinque giri di vantaggio sul secondo classificato: in quell’occasione Chris Amon, scendendo dalla sua vettura per un cambio di guida, commentò: “Perché qualcuno non dice a Pedro che sta piovendo?”. Nel ’71 formò una sensazionale squadra con Jo Siffert, sia per la BRM in Formula 1 che con la Porsche nelle sportcar: con le “917” vinse in sequenza a Daytona, Spa, Monza e Zeltweg e si avviava alla conquista pressoché certa della corona di Campione del Mondo. Pedro amava molto correre e così per gli organizzatori non fu difficile convincerlo ad accettare l’invito per essere la grande attrazione di un evento Interserie – un campionato minore sportcar che gravitava intorno alla Germania – sul veloce e pericoloso circuito di Norising, dove perse la vita molti anni dopo anche Michele Alboreto. Guidando una Ferrari 512M prestatagli dallo svizzero Herbert Muller, Pedro ebbe un gravissimo incidente causato dall’esplosione di un pneumatico e rimase ucciso sul colpo. Era l’11 luglio: il Gran Premio del Messico 1971 fu annullato e non si corse più fino al 1986, quando l’autodromo era già da tempo chiamato “Hermanos Rodriguez”.