L’ultima novità “francese” nell’economia italiana sarebbe l’attivismo di Gaz de France-Suez nel mercato energetico domestico. Prima Gaz de France ha incrementato la propria quota in Acea dal 10% all’11,5% nonostante le joint venture nella distribuzione e nella produzione con l’utility romana siano state sciolte a marzo, poi è tornata alla ribalta come potenziale compratore della maggioranza di Sorgenia dalla Cir di De benedetti.
Non serve essere particolarmente “insider” per leggere in questa notizia l’obiettivo di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel mercato energetico italiano. Gaz de France è già presente in Italia avendo appunto rilevato la totalità della ex joint venture con Acea nella produzione; l’operazione evidentemente non è stata la conclusione di niente, quanto piuttosto una tappa di un progetto ben più ambizioso.
La notizia merita attenzione per tanti motivi finanziari a partire dalla rilevanza di Acea fino alle dimensioni di Sorgenia. Ovviamente, non può passare inosservata dopo che nelle ultime settimane è stata lanciata un’Opa su Parmalat (dopo quella su Bulgari), mentre il numero di notizie su Edison sta rapidamente salendo di tono.
Intanto si parla di Gaz de france-Suez e non di Gaz de France e basta perché quando Enel nel 2006 provò a mettere le mani su Suez e su una parte del mercato francese trovò sulla propria strada un’opposizione così forte dal parte del governo francese che dovette abbandonare l’operazione (ripiegò poi sulla spagnola Endesa). Non è il caso di rifare l’elenco dei molti episodi che documentano una certa mancanza di reciprocità tra Italia e Francia, ma comunque è sempre bene tenere a mente i fatti.
Tra i vari aspetti della vicenda ce ne sono due che meritano di essere notati. Il primo è che incrementare la quota dal 10% all’11,5% in una società che ha il primo azionista al 51% (il Comune di Roma) e il secondo (Caltagirone) al 15% non ha nessuna utilità di breve periodo; certamente l’ottica è quella di prendere posizione in vista della discesa del Comune nel 2013-14 al 30%, ma si tratta pur sempre di un evento lontano nel tempo e di cui non necessariamente potrà beneficiare Gdf. Si tratta quindi di un investimento strategico per essere nella posizione migliore in vista di possibili eventi futuri che possano cambiare gli equilibri nella catena di controllo della utility romana.
Il secondo è che compratori per Sorgenia a certi prezzi, quelli probabilmente necessari per ripagare gli investimenti di Cir, non abbondano; l’investimento per un compratore terzo da un punto di vista di costo rendimento in un’ottica di medio periodo non sembra particolarmente entusiasmante. È la stessa situazione di Parmalat, dove qualcuno ha risolto l’empasse mettendo in campo una cifra che per tutti gli altri sembrava irragionevolmente alta. È ancora la stessa situazione di Bulgari, pagata con un premio del 60% sui prezzi di borsa, o quella, per esempio, che ha fatto comprare la russa Avtovaz a Renault per una cifra probabilmente rifiutata da Fiat.
Ogni caso ha le sue specificità, la sua storia particolare, il suo inizio e la sua fine. Si può però individuare una sorta di invisibile tratto comune. Tutti questi investimenti a questi prezzi hanno probabilmente poco senso nell’ottica dei mercati finanziari, degli investitori finanziari e forse perfino per chi fa solo industria ma non ha ragioni per vedere particolari sinergie o sviluppi futuri particolarmente premianti. L’unica interpretazione che può spiegare questi fatti/investimenti è l’ottica di chi valuta le prospettive di lungo termine di un mercato, e di conseguenza di una sua quota.
Non conta quanto può rendere Parmalat nei prossimi tre o cinque anni, ma quanto vale quella quota di mercato di quel settore in Italia; o quanto vale strategicamente quell’acquisizione in termini di prospettive di sviluppo di lungo termine. Non si compra Bulgari per i risultati che farà da qui a tre anni, ma si compra il brand più famoso dei gioielli italiani, un marchio riconosciuto in tutto il mondo e non replicabile. Non solo questo. Tanto più “l’economia reale” è solida, tanto più quel mercato è strutturalmente buono, quanto più quest’ottica acquisisce validità.
Volendo per un attimo uscire dalla cronaca finanziaria, il fatto grave che si può leggere nelle ultime vicende, più che la singola società italiana passata di mano, è che evidentemente in Italia si è persa questa prospettiva di medio-lungo termine o non la si considera abbastanza importante. Una prospettiva che invece in Francia hanno ben presente e che alla fine di tutto, nonostante i prezzi apparentemente strani, paga; anche in termini economici.