I dati di questi giorni fotografano una situazione del mercato del lavoro a dir poco confusa. A differenza dei dati ministeriali di fine estate, infatti, quelli dell’Osservatorio Inps attestano una situazione del mercato del lavoro stagnante nel quale sono diminuite le nuove assunzioni e aumentati i licenziamenti e il ricorso ai voucher. Da più parti è stata sollevata più di una critica sulla più recente riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) che ha introdotto, tra l’altro, una bipartizione netta fra i lavoratori nell’ipotesi di loro licenziamento.
In sintesi, tale disciplina prevede che per gli assunti successivamente al 7 marzo 2015 la reintegrazione a seguito di licenziamento illegittimo è limitata ai soli casi in cui venga giudizialmente accertata la natura discriminatoria del licenziamento stesso ovvero l’insussistenza del fatto materiale posto dal datore di lavoro alla base del recesso. Per gli assunti precedentemente a tale data continuerà a trovare applicazione la tutela della Legge Fornero (e il relativo rito giudiziale), che già aveva rappresentato per la verità un tentativo di superare il precedente regime normativo in tema di licenziamenti a favore di una maggiore flessibilità.
In particolare, il Jobs Act – che sotto questo profilo rappresenta la prosecuzione di un percorso già iniziato da tempo – tende a diminuire la discrezionalità del giudice cui è preclusa, stando alla lettera della norma, una valutazione circa la proporzionalità tra il fatto materiale imputato al lavoratore come motivo di recesso, ove sussistente, e la reazione del datore di lavoro culminata nell’interruzione del rapporto di lavoro. La tutela del lavoratore licenziato non consisterà più nella reintegrazione nel posto di lavoro, bensì nella corresponsione di un’indennità monetaria proporzionata, in misura fissa, alla durata del rapporto di lavoro (2 mensilità non soggette a contribuzione per ogni anno di servizio), ulteriormente determinata nel suo minimo (4 mensilità) e nel suo massimo (24 mensilità).
Di fatto, la riforma consente di predeterminare il costo del licenziamento per l’imprenditore e di escludere – salvo per l’ipotesi di licenziamento discriminatorio o insussistenza del fatto – la reintegrazione del lavoratore licenziato nel posto di lavoro, realizzando così effettivamente maggiore flessibilità in uscita.
A questo proposito vale la pena ricordare, ritornando ai dati Inps, che, sempre nell’ambito della riforma del 2015, i datori di lavoro hanno goduto di un’esenzione fiscale sui rapporti di lavoro derivanti dalle assunzioni avvenute sino al 31 dicembre del 2015. Ciò ha comportato un significativo incentivo per l’imprenditore che avesse assunto a tempo indeterminato.
Cessato, tuttavia, lo sgravio contributivo e in assenza di alleggerimenti della busta paga strutturali e non temporali, sono rallentate le nuove assunzioni che già nei primi mesi dell’anno sono sensibilmente calate. In ogni caso nessuna statistica potrà mai verificare cosa sarebbe successo se il Jobs Act non fosse entrato in vigore e fosse rimasto vigente il precedente assetto normativo. Nell’attuale situazione economica è verosimile però ritenere che non si sarebbero verificate neppure quelle assunzioni agevolate sotto il profilo fiscale (seppur in una certa misura temporanee), mentre saremmo stati comunque spettatori di licenziamenti e ricorso ai voucher.
Al fine di correggere la situazione il legislatore è recentemente intervenuto (in Gazzetta Ufficiale n. 235 del 7/10/2016) con decreto correttivo. L’intervento contiene una serie di previsioni eterogenee volte a sostenere il mercato del lavoro attraverso il ricorso alla cosiddette politiche attive per la promozione dell’occupazione e per il sostegno durante la disoccupazione.
Solo con i prossimi dati statistici sarà possibile verificare l’efficacia delle nuove misure che però, a una prima lettura, non sembrano incidere così profondamente nel mercato del lavoro da consentire un’effettiva e prolungata ripresa delle assunzioni, nella situazione complessiva dell’economia.
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