Capodanno, giorno di festa, il presidente Napolitano ha parlato alla vigilia, per i leader dei partiti (escluso il torrenziale Berlusconi) non è il momento di grandi dichiarazioni. Meglio qualche «tweet», poche parole sufficienti a lanciare segnali e messaggi. Roberto Maroni ha scoperto da tempo la comodità dei 140 caratteri, frasi semplici e immediate che si adattano perfettamente al tipo di elettore che il segretario della Lega Nord intende riconquistare.
Nascono così i «Basta Monti basta tasse» che ieri è stato trasformato in «Buon anno senza Monti e senza tasse». Ma altri due «tweet» segnalano una mutazione di passo. «Da domani si cambia, pulizia e largo ai giovani»: oggi infatti scatta il conto alla rovescia per preparare le liste elettorali e soprattutto per verificare la possibilità dell’accordo con il Pdl.
E qui arriva il secondo telegramma dal web: «Trattenere in Lombardia il 75% delle tasse pagate dai lombardi: punto essenziale del mio programma». Frecciata destinata proprio al Pdl, che con il governatore campano Stefano Caldoro ha aperto il fuoco di sbarramento contro il nuovo modello di «fisco federale» che sta diventando il cavallo di battaglia della campagna elettorale del Carroccio per il dopo-Formigoni.
A dispetto delle apparenze, Maroni non chiude la porta al partito di Berlusconi ma ricorda che l’intesa è condizionata. Lega e Pdl hanno entrambi bisogno dell’altro; da soli non vanno da nessuna parte, condannati – come sarebbero – a una battaglia «di testimonianza» perché liste separate spianerebbero la strada alla sinistra sia alle regionali sia alle politiche.
Maroni segna il territorio. Le condizioni sono almeno due: alle tasse trattenute al Nord si aggiunge la creazione della «macroregione» da Venezia a Torino. Ma dall’incontro, infruttuoso, di venerdì scorso è emersa una prospettiva: le condizioni-capestro potrebbero essere superate se Berlusconi accettasse il ruolo di capo coalizione cedendo ad altri quello di candidato premier.
La mossa ha tra i suggeritori Roberto Calderoli, autore del «Porcellum» (il meccanismo di voto in vigore) e grande conoscitore delle alchimie elettorali. La legge, che premia le coalizioni, invita a indicare un leader ma al contempo salvaguarda il ruolo del capo dello Stato che, al momento di conferire l’incarico di formare il governo, non è vincolato da tale indicazione. Per Berlusconi non sarebbe un passo indietro ma un passo di lato.
Sempre Calderoli ha suggerito il nome «nuovo» che potrebbe guidare l’eventuale esecutivo di centrodestra. È nero su bianco sulla Padania di pochi giorni fa: Giulio Tremonti. L’ex ministro dell’Economia, che ha abbandonato il Pdl per formare una sua lista lavoro e libertà (3L), ha stretto un accordo con la Lega per correre uniti benché distinti. È sempre stato uno degli anelli di congiunzione tra Berlusconi e i padani. Con Calderoli ha difeso e portato avanti finché ha potuto la riforma del federalismo fiscale.
Potrebbe essere lui il nome di compromesso sul quale tentare di trovare la «quadra». Né leghista né berlusconiano, profondo conoscitore della materia economica, ben introdotto negli ambienti europei frequentati da Mario Monti, valida alternativa al nome più gettonato come post-Berlusconi, cioè quello di Angelino Alfano, che però ormai non trova sostenitori da nessuna parte.
Su Tremonti i due partiti stanno ragionando. C’è una settimana di tempo: le coalizioni vanno decise entro l’11 gennaio e Maroni ha già convocato per martedì 8 il Consiglio federale al quale dovrà rendere conto del mandato ricevuto per condurre le trattative. Otto giorni in cui si gioca il futuro di quello che per oltre 10 anni è stato l’asse portante del centrodestra.