Dopo la grande attenzione dedicata al caso Alitalia in corso d’anno e la sua accentuazione col commissariamento, la presentazione del piano Cai e la trattativa coi sindacati, i media non ne parlano quasi più da almeno un paio di settimane. Merito della grave crisi finanziaria o del fatto che, in antitesi alla benevolenza aprioristica dei nostri organi di stampa, diversi conti sembrano non tornare e la nuova Alitalia appare ancora molto distante dal decollo?
Non pensiamo di esagerare mettendo in evidenza l’approssimativa leggerezza con la quale è stata gestito sinora il terzo tentativo di privatizzare il vettore di bandiera: sedici imprenditori italiani, impegnati in diversi settori produttivi ma con esclusione di quello aeronautico, sono diventati soci di una S.r.l., la Cai, versando pochi euro ciascuno; prima di questa azione il Governo ha adattato alle loro esigenze le norme relative alla gestione delle crisi aziendali (legge Marzano) e subito dopo, sulla base della sola promessa dei soci Cai di raccogliere complessivamente mezzi finanziari per un miliardo di euro, ha iniziato a trattare la vendita della quinta compagnia aerea europea, che con 189 aerei ha trasportato nello scorso anno 24,4 milioni di passeggeri e conseguito ricavi per 4,8 miliardi di euro; ha inoltre nominato un Commissario di Alitalia e gli ha affidato il compito unico di traghettare l’azienda nel minor tempo possibile ai nuovi azionisti designati, indipendentemente dalla valutazione se questa sarà la soluzione migliore per l’azienda, i creditori, i consumatori e il trasporto aereo italiano.
Cai non dispone al momento di un aereo, non ha il certificato di operatore aeronautico e non dispone della licenza per lo svolgimento del servizio commerciale, non dispone dei mezzi finanziari per accollarsi la gestione del vecchio vettore e neppure dei requisiti per ottenere il certificato e la licenza. A tutte queste cose dovrà rimediare in brevissimo tempo, prima che finiscano sul serio soldi in cassa ad Alitalia e Fantozzi debba trattenere a terra gli aerei a causa dei serbatoi vuoti.
Ciò che è più grave, Cai non dispone della competenza industriale per gestire un grande vettore aereo, per operare efficacemente in un mercato complesso e altamente competitivo, in un settore industriale caratterizzato da specificità e tecnicalità rilevanti, che debbono essere padroneggiate con efficacia da chi gestisce l’azienda. Guidare un vettore aereo si differenzia dal guidare un’azienda di moto non meno di quanto si differenzi guidare un Airbus o un Boeing rispetto ad uno scooter. A differenza dei precedenti requisiti, che sono rimediabili, questa competenza Cai non ce l’ha e non potrà neppure darsela se non imbarcando nell’operazione un grande vettore europeo come partner o come socio.
Il problema rilevante diventa a questo punto il rispetto del comandamento del controllo nazionale di Alitalia: il partner estero sarà eventualmente ammesso nell’azionariato ma solo in un condizione di minoranza. Peccato che, qualunque possa essere questo partner, sarà invece interessato ad acquisire il pieno controllo del vettore, quale necessità strategica nel processo di riordino e integrazione dei grandi operatori sui cieli europei che si è accelerata notevolmente negli ultimi mesi (integrazione tra British e Iberia, acquisto di Brussels da parte di Lufthansa, procedura di vendita per Austrian, probabile avvio di procedura per SAS). A un socio estero che desidera acquisire nel tempo il controllo dell’azienda il ruolo di azionista di minoranza, che non implica responsabilità gestionali, va benissimo ma sfortunatamente per i soci Cai rende conveniente non aiutare i partner italiani a gestire con efficacia l’azienda, a suggerire loro una strategia vincente. Quanto prima sbagliano e tanto più sbagliano, tanto prima potrà subentrare nel controllo dell’azienda con un esborso contenuto. Se invece li aiuta a non fare errori, gli azionisti tricolori allungheranno il periodo in cui conservano il controllo e se decideranno di vendere lo faranno a prezzo ben maggiore. Per queste ragioni l’ipotesi più plausibile è l’insuccesso industriale di Cai e la conseguente cessione del controllo al partner straniero non oltre un triennio.
Questa è la criticità maggiore se Cai riesce ad acquisire Alitalia; ve ne sono tuttavia altre tre che debbono essere superate prima: le decisioni dell’Unione Europea in tema di aiuti di stato, l’acquisizione del certificato e della licenza da parte dell’Enac, la definizione del prezzo degli asset rilevanti. Sul primo punto non mi aspetto tuttavia grandi ostacoli: la Commissione U.E. mi sembra abbia tutta l’intenzione di attendere che i buoi si siano allontanati dal recinto e si trovino a distanza di sicurezza prima di chiudere il cancello. Prevedo pertanto che aspetterà ad avere di fronte a se la bad company pubblica per chiedere allo Stato di restituire a se stesso i 300 milioni di prestito che non poteva concedere ad Alitalia.
Il secondo punto, relativo al rilascio del certificato e della licenza, è molto più importante anche se poco noto al pubblico perché quasi per nulla toccato dagli organi d’informazione. La procedura di rilascio che vede come controparte l’Enac, il regolatore tecnico del trasporto aereo, deve accertare che la compagnia aerea che si prepara a intraprendere l’attività sia in grado di garantire il rispetto di una serie di standard organizzativi e di sicurezza. Come si legge nella stessa documentazione pubblicata dall’Enac:
“La rispondenza dell’organizzazione e del modo di operare della compagnia aerea alle normative tecnico operative previste per le operazioni di trasporto aereo commerciale (trasporto pubblico) sono attestate dall’AOC (Air Operator Certificate o COA, Certificato di Operatore Aereo). L’AOC viene rilasciato dall’Autorità aeronautica dello Stato dove l’operatore ha la sua sede legale. Le normative in base alle quali le autorità aeronautiche dei vari Paesi del mondo rilasciano e/o rinnovano la validità di un AOC rispondono a principi comuni dettati dall’ICAO (International Civil Aviation Organisation) che è una organizzazione associata alle Nazioni Unite. La normativa che regolamenta le attività di una compagnia aerea correlate con la sicurezza del volo è costituita da un insieme di norme tecniche e operative definite in ambito europeo e adottate dall’Italia e da altri Paesi europei. Il processo di rilascio di un AOC da parte dell’ENAC è un processo di verifica di rispondenza ai requisiti lungo e complesso che può durare dai tre ai sei mesi e al quale prendono parte varie professionalità dell’Ente. In particolare viene nominato un “team di certificazione e sorveglianza” coordinato da un team leader, nel quale sono presenti funzionari tecnici aeronautici ed elettronici e uno o più ispettori di volo (piloti di provata esperienza). I controlli che sono alla base del rilascio e della successiva sorveglianza sono diretti al personale (possesso della competenza e dei titoli), alle procedure (efficacia e rispetto delle previsioni regolamentari), ai mezzi (idoneità al volo e per il tipo di operazioni) ed infine alla verifica sul campo. In questa fase viene accertato che tutte le attività dell’operatore vengano svolte in conformità alle norme e alle procedure che quest’ultimo ha sottoposto all’ENAC per l’ accettazione”.
Procedura lunga e complessa, quindi, che non è peraltro sufficiente: accanto al certificato è infatti necessario possedere la licenza di esercizio, anch’essa rilasciata dall’ENAC, la quale consente a un’impresa di effettuare a titolo oneroso il trasporto aereo di passeggeri, posta e merci. Il Regolamento CEE n. 2407 del 1992 stabilisce i requisiti per il rilascio ed il mantenimento delle licenze di esercizio ai vettori aerei comunitari. Essi riguardano da un lato gli aspetti tecnico operativi, adempiuti attraverso il possesso del COA, e dall’altro lato i seguenti aspetti, giuridici ed economico/finanziari: avere il principale centro di attività e la sede legale in Italia; avere come attività principale il trasporto aereo; essere e rimanere di proprietà, direttamente o attraverso una partecipazione di maggioranza, degli Stati membri e/o di cittadini degli Stati membri; dimostrare di avere la necessaria capacità economico-finanziaria per lo svolgimento dell’attività programmata, in modo da garantire l’adempimento degli impegni previsti con le controparti contrattuali, clienti e fornitori.
In relazione all’ultimo punto, il regolamento comunitario prevede che il vettore candidato dimostri “in modo sufficientemente convincente di poter far fronte ai costi fissi e operativi connessi con le operazioni secondo i piani economici (…) per un periodo di tre mesi dall’inizio delle operazioni e senza tener conto delle entrate derivanti da dette operazioni”. Cai, in sostanza, dovrà disporre delle risorse economiche per far volare per un intero trimestre i suoi aerei su tutte le rotte previste indipendentemente dai ricavi (e quindi anche nell’ipotesi estrema di non riuscire nel frattempo a incassare nemmeno un euro dalla vendita dei biglietti). A quanto ammontano i costi delle attività di un trimestre della nuova Alitalia? A circa 1-1,1 miliardi di euro, quindi poco più dei mezzi finanziari che i sedici soci hanno promesso di mettere a disposizione, pari a un miliardo. Tale cifra è tuttavia destinata in primo luogo a pagare per cassa almeno una parte non trascurabile del prezzo di acquisto degli asset di Alitalia e AirOne; fatto questo rimarranno a disposizione di Cai, se va bene 500 0 600 milioni, quindi circa la metà di quanto il regolamento comunitario richiede a Cai per poter conseguire la licenza di esercizio.
In sintesi: conseguire ex novo il certificato di operatore aereo richiede troppo tempo e per quanto riguarda la connessa licenza di esercizio le risorse finanziarie di Cai sono ampiamente insufficienti rispetto ai requisiti stabiliti dalla normativa europea. Per superare l’ostacolo potrebbe puntare ad acquisire per intero uno dei vettori esistenti, ereditandone certificato e licenza ma i soci di Cai non intendono farsi carico né dei debiti di Airone né di quelli di Alitalia; inoltre acquisendo per intero Alitalia non vi sarebbe la discontinuità aziendale auspicata dall’Unione Europea né la possibilità di scaricare la bad company sui contribuenti italiani. Queste sono le ragioni per le quali Cai ha scelto di rilevare solo pezzi delle due compagnie, in modo da allontanare il rischio di un ricorso a livello europeo per aiuti di Stato di cui essa trarrebbe beneficio (in primo luogo il famoso prestito ponte).
Un’ipotesi alternativa è quella di acquisire per intero aziende minori del gruppo Alitalia quali Alitalia Express o Volare, in modo da ereditarne certificato e licenza. Questa soluzione in realtà è in grado di risolvere il problema del certificato ma non quello della licenza poiché l’Enac è tenuta a verificare la sostenibilità finanziaria dell’accresciuta attività dell’azienda che passerebbe dai pochi aerei delle due piccole aziende prima citate ai 140-150 velivoli della nuova Alitalia. Il regolamento comunitario prevede in tal caso che: “Qualora le autorità che rilasciano la licenza ritengano che i cambiamenti notificati … abbiano significative ripercussioni sulle finanze del vettore aereo, richiedono la presentazione di un piano economico riveduto che riporti detti cambiamenti e abbracci un periodo di almeno dodici mesi dalla data di attuazione … al fine di valutare se il vettore può far fronte ai suoi impegni effettivi e potenziali durante detto periodo di dodici mesi. Le autorità che rilasciano la licenza adottano una decisione sul piano economico riveduto entro tre mesi dalla data in cui hanno ricevuto tutte le informazioni necessarie”.
Come si può osservare le norme comunitarie sono piuttosto serie e non sembrano prestarsi alla prassi tipicamente nazionale secondo la quale le regole (o la loro interpretazione) diventano variabili per gli amici dei regolatori. Se Cai riuscirà a superare il doppio ostacolo del certificato aeronautico e della licenza d’esercizio incontrerà il gradino della congruità della valutazione degli asset di Alitalia. Al tema ho dedicato assieme ad Andrea Giuricin un precedente contributo al quale rimando; ad integrazione del medesimo si può tuttavia ricordare che Brussels Airlines (o meglio SN Holding che la controlla) è stata valutata da Lufthansa nella recente acquisizione 250 milioni di euro al netto dei debiti. Brussels però trasporta in un anno sei milioni di passeggeri, un quarto rispetto ad Alitalia, e consegue ricavi per poco più di 900 milioni di euro, meno di un quinto rispetto ad Alitalia. Non è pertanto plausibile, considerando che il valore di un vettore è funzione della disponibilità a spendere dei suoi clienti, una valutazione così ridotta come quella indicata dai giornali ai primi di settembre, quando si parlò per la prima volta dei contenuti del piano Cai. Da contribuenti e viaggiatori perplessi non ci rimane che attendere i valutatori ufficiali (Banca Leonardo e Rotschild) ai cancelli d’imbarco.