Una canzone non è solo “due note e un ritornello” (citando Paolo Conte…), ma anche persone, fatti, ricordi, avvenimenti casuali, incontri imprevisti. Una canzone non è mai “solo” un evento artistico o un oggetto da consumare, ma anche un pezzo di storia da raccontare.
Questa rubrica prova a mettere insieme quei cocci del destino che han portato alla nascita, al successo o all’oblio una melodia. Senza enfasi, ma – spesso – con quella stessa commozione partecipata che si avverte quando si leggono certi libri di storia.
Tra le tante figure che hanno animato il firmamento musicale portandovi dentro elementi di eccentricità rispetto a quello che è il gioco di “strofe e ritornello”, un posto speciale lo occupa Freddy Mercury.
Inglese, nato a Zanzibar in una famiglia indiana, appassionato di boxe, teatro e recitazione, ha interpretato per lungo tempo il ruolo del guitto eccessivo, retorico e ironico. Il rock ai suoi massimi si è sempre imbevuto di teatralità: l’ha fatto Peter Gabriel con i Genesis, l’ha fatto il “finto satanico” Ozzy Osbourne, l’hanno fatto Jim Morrison e David Bowie. Coltissimo per studi accademici (diplomato in arti e grafica) e per vocazione, Mercury ha interpretato e portato in scena una sorta di maschera dandy a metà strada tra Oscar Wilde e la commedia shakespeareana, giocando a travestirsi per scioccare sia il pubblico che se stesso, portando di fronte a platee immense lo sberleffo al “culto britannico della regina” e un senso disperato del proprio “non essere”. Nell’insieme di canzoni interpretate dai Queen e tutte scritte da Mercury o dal chitarrista Brian May, Who Wants To Live Forever assume una dimensione particolare. Scritta da May nel 1986, ha anticipato di pochi anni la scomparsa del cantante, stroncato dall’Aids nel 1991, a 45 anni.
Non c’è tempo per noi
Non c’è spazio per noi
Cos’è che costruisce i nostri sogni eppure ora scorre via
Chi vuol vivere per sempre
Chi vuol vivere per sempre?
Non abbiamo scelta
Il nostro destino è già stato deciso
Questo mondo ha un solo dolce momento messo da parte per noi
Chi vuol vivere per sempre,
Chi vuol vivere per sempre?
Chi desidera amare per sempre?
…Quando l’amore deve morire
Inutile ridirlo ancora, ma le canzoni sono da ascoltare, non da leggere. Vale eccezionalmente per Who Wants To Live Forever, soprattutto per l’interpretazione vocale di Freddy, forse mai così lirico, mai cosi trascinante e doloroso come nella parte centrale del pezzo. E mentre le strofe d’apertura, lente e intimiste, si aprono a un ritornello potente e trascinante, il pezzo si apre a un culmine di domanda, tenorile e totalizzante: tocca il mio dolore, tocca la mia realtà, porta l’eternità dentro il mio “ora”, squarcia “tu” che puoi, dove il “tu” è chi può squarciare…
Ma tocca le mie lacrime con le tue labbra
Tocca il mio mondo con la punta delle tue dita
E potremo avere per sempre
E potremo amare per sempre
L’ eternità è il nostro presente
Una luce, un raggio, una domanda infinita. È un istante. Nel momento successivo il ritmo scompare, l’orchestralità svanisce, Freddy il tenore ripiega le ali e ferma la vibrazione dell’ugola e del cuore. È stato un istante.
Chi vuol vivere per sempre
Chi vuol vivere per sempre?
L’eternità è il nostro presente…
Ma in ogni caso chi aspetta in eterno?
Quanto dura l’attesa?
Quanto può durare il desiderio?
È accaduto qualcosa?
Accadrà qualcosa?
Sul palcoscenico del rock, fatto di finzioni tragicomiche, Freddy Mercury ha interpretato la tremenda leggerezza dell’attore tragico. Ha “vissuto intensamente” (frase resa celebre in Blade Runner, ma anche in tanta retorica rock improntata al “live fast, die young”, vivi veloce e muori giovane), si è ritagliato dei momenti di lucida chiarezza-disperazione che scivolavano l’istante dopo nella risata del clown, nella esibizione forzuta del macho da circo, nello sberleffo del dominatore della platea. Eppure certe frasi, rimangono. Come epitaffio. Come anelito. Come barlume.