Al pari del caso Berlusconi, anche l’affaire Mps non è chiuso. La conclusione della vicenda giudiziaria – nell’uno e nell’altro caso – apre invece ancora di più la vicenda politica o finanziaria: anche se gli inquirenti di Siena sono approdati a misure opposte rispetto ai cassazionisti di Roma. Colpevolissimo il Cavaliere (“finalmente colpevole” sul piano mediatico, “lo dicevamo dall’inizio”); tutti innocenti salvo tre mariuoli a Rocca Salimbeni, “stavolta i giornali si sono sbagliati, tutto è andato bene”. Ma se il garantismo della magistratura italiana funziona, cosa ha spinto Il Corriere della Sera domenicale a dedicare il primo dei suoi commenti editoriali a una difesa “a prescindere” – soprattutto non richiesta – dell’ex governatore della Banca d’Italia Mario Draghi?
Perché sull’attuale presidente della Bce è vietato porsi interrogativi puntuali – non spargere generici veleni come sostiene il Corriere – sull’operato istituzionale di vigilante bancario nel 2007 sull’acquisizione Mps-AntonVeneta? Non fosse altro perché l’Ue (Italia compresa) sta affidando a Draghi la costruzione dell’Unione bancaria, la nuove supervisione creditizia integrata dopo la grande crisi. E il caso Mps è un prodotto genuino della crisi: fatta anche – forse anzitutto – dal ritiro programmatico e ideologico da parte di ogni autorità di regolazione e vigilanza di fronte alle ragioni del mercato.
Lo ha ricordato Alessandro Profumo, che sta cercando di rimettere assieme i cocci a Siena: “L’acquisizione AntonVeneta fu fatta senza due diligence”. Mps si giocò quasi 10 miliardi per cassa – e la sua stessa sopravvivenza – in un’asta (presunta) con Bnp Paribas. Il prezzo di mercato, all’epoca, era però giusto per definizione. Grave, viste le conseguenze, per l’intero cda Mps dell’epoca, ma gravissimo per un’autorità di vigilanza che – ora come allora – è chiamata a valutare con standard propri la sostenibilità di un’operazione strategica da parte di una banca vigilata; senza fidarsi a occhi chiusi del giudizio del mercato.
Su tutto questo i Pm di Siena hanno stesso un velo nero. Invece, in una democrazia degna di questo nome l’autorizzazione della Vigilanza Bankitalia all’acquisizione AntonVeneta dovrebbe essere pubblica: a maggior ragione se via Nazionale non ha nulla da temere e resta tranquillamente orgogliosa di se stessa. A questo punto, ci passerebbe anche ogni curiosità residua sulle intercettazioni che la Procura di Siena ha certamente effettuato da anni (e l’accelerazione del 2013 è partita con la pubblicazione di un breve brogliaccio, naturalmente su Il Fatto quotidiano), ma di cui si sono perse le tracce.
Certamente, invece, la trasparenza di Draghi sui suoi doveri amministrativi nel 2007 in Italia c’interesserebbe di più di quella che Draghi promette ora sul poker dei tassi nel board Bce dal 2014.