Ci sono in giro bombe atomiche di nuovo tipo. Sono bombe atomiche di gas finanziario, di roba virtuale tossica. Uccidono finora più degli ordigni all’uranio. Eppure non ci sono convenzioni internazionali che le tengano sotto controllo, accordi internazionali per vietarle.
Anzi in qualche modo gli Stati hanno salvato i grandi produttori di questi veleni dirompenti, e che ora si sono già riattrezzati per ripetere il cataclisma. Bisogna muoversi a livello di Parlamenti nazionali e di assemblee parlamentari continentali. La diplomazia si occupi di questo, mossa da ragioni profonde, da un’idea di uomo e di bene comune.
L’idea mi è venuta leggendo i testi sui diritti umani di Mary Ann Glendon. Tra le tante cose profonde e davvero rivoluzionarie lì si sostiene che il guaio è di averli affidati ai giudici, e di averli ridotti a diritti individuali puri e semplici. Il risultato è che la politica quando è chiamata a occuparsi di diritti umani si pretende debba oggi legiferare per consacrare il diritto all’aborto (già fatto), all’eutanasia, ai matrimoni e alle adozioni di lesbiche e gay. Invece ci sono questioni che attengono al diritto dei popoli di essere se stessi, di non essere messi a rischio da chi gioca con il loro destino.
Così, quando ho partecipato lo scorso 31 maggio a Parigi alla Commissione principi giuridici e diritti umani del Consiglio d’Europa (non è l’Unione Europea: è l’organismo che coinvolge 27 Paesi, tra i quali anche la Russia, la Turchia, i Paesi Balcanici, e ad esso è legata la Corte europea dei diritti umani, quella della sentenza sul crocifisso per intenderci), ho domandato: “I derivati, gli swap, i titoli oggi considerati tossici sono contro i diritti umani? I parlamenti possono legiferare per metterli fuori legge e non riconoscerne la legittimità sulla base di considerazioni di giustizia universale e non sulla base di semplici convenzioni?”.
Si discuteva a proposito di un tema molto interessante: “Diritti umani e imprese”. Come al solito, e con molte ragioni, si sono introdotti i temi degli incidenti sul lavoro, dell’importanza di rendere validi globalmente i principi di tutela sociale e di lotta alla discriminazione tra sessi, etnie, religioni. Finché uno degli esperti convocati ha osservato: “Quando si parla di diritti violati si pensa sempre alle fabbriche e non si riflette mai sulle banche e sulle finanziarie. In fondo trattano bene i dipendenti. Non inquinano. Incidenti sul lavoro poco o niente. Lavoro minorile zero. Perfette, etiche, qualche volta fanno beneficienza”.
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Ed ecco che nel silenzio generale ho lanciato questa domanda-idea. Non c’è una sola risoluzione o proposta degli organismi dei diritti umani che vada in questo senso, salvo perorazioni generiche. Il professor Emmanuel Decaux, vice-presidente della Commissione francese dei diritti umani (università di Parigi): “Così come si sono stilate black list, liste nere per finanziarie e società di capitali sospettate di essere canali per alimentare di denaro il terrorismo islamico, si potrebbe pensare qualcosa di analogo per chi produce e commercia prodotti finanziari che hanno la stessa carica nociva”.
Il professor David Kinley, ordinario della cattedra di diritti umani all’Università di Sidney, appoggia la mia suggestione: “Nel caso di questi prodotti finanziari la libertà di azione finanziaria mette in gioco con le crisi provocate e provocabili, con rischi irragionevoli, il benessere e la vita stessa di milioni di persone”. Se non altro per il principio di precauzione andrebbero insomma messi al bando, come le armi nucleari in mano ai terroristi o agli Stati canaglia: traduco io così, ma non finisce qui, con le chiacchiere. Credo si debba muoversi in fretta.
Sia chiaro: non sono qui a invocare manette, ma a impedire la stregoneria sulla carne viva dei popoli per cavar loro il sangue. Infatti mi rendo conto che non sono i giudici la panacea di tutti i mali. E neanche le regole. Ma qualche regola che nasca da una presa di consapevolezza di che cosa sia il bene degli uomini ci vuole.