Se ne è andata in punta di piedi lo scorso 8 gennaio, racimolando qualche titolo nelle pagine interne dei quotidiani sportivi o la pubblicazione di qualche fotografia un po’ sbiadita sui media più attenti. Lei, napoletana verace proveniente da una nobile famiglia e cresciuta nel palazzo Ducale di Marigliano, si era da anni ritirata in una frazione di Scanzorosciate, paesino della bergamasca che l’aveva adottata quando, lasciata la sua “passione giovanile”, aveva sposato il marito Thomas, un ingegnere austriaco trapiantato a Bergamo. Eppure quello che rappresentò Maria Teresa de Filippis nel corso degli anni ’50 fu qualcosa di unico, per molti versi sorprendente e certamente ineguagliato per molti anni. Già perché la sua “passione giovanile” era piuttosto anomala per una ragazza del tempo: lei amava la velocità, le corse e, soprattutto, le macchine. E fu, senza ombra di dubbio quella che oggi con un brutto neologismo si potrebbe definire una “pioniera”. Maria Teresa De Filippis, classe 1926, è stata la prima donna a calcare le piste della Formula 1 nella seconda metà degli anni ’50 e l’unica, assieme a Lella Lombardi vent’anni dopo, ad essersi presentata al via di almeno un Gran Premio, superando le qualificazioni. E non stiamo parlando delle vetture iper-tecnologiche di oggi, ma di “mostri” dalla potenza spropositata che non avevano ombra di servosterzi, frenate assistite o cambi sequenziali e dovevano essere condotte a “mani nude”, spesso a viva forza. Ecco, in qual mondo e con quali macchine – le più affascinanti che si siano mai viste su una pista – si cimentava Maria Teresa, in un mondo profondamente diverso da quello di oggi e che non aveva nemmeno contemplato la possibilità che una donna si misurasse in pista contro i grandi piloti-uomini del tempo. Per dirne una, narra la leggenda che al Gran Premio di Francia del 1956 la sua iscrizione non fosse stata accettata perché, disse il direttore di corsa, le donne devono mettersi solo il casco del coiffeur. Questi erano i tempi in cui Maria Teresa sfondò ogni muro, ogni consuetudine e ogni logica stringente. Un paradosso che affascinava tutti i piloti, colpiti dalla sua bellezza non giunonica ma comunque accattivante, dalla sua ironia e dalla sua capacità di guida. Fin da giovane insieme al fratello Antonio, che a sua volta tentò senza fortuna di farsi una carriera da pilota nel primo dopoguerra, la De Filippis coltivava il suo sogno di correre in auto e così ci provò sul serio, vincendo le resistenze della famiglia. Dopo qualche tentativo senza grande successo, fu l’incontro con Luigi Musso a cambiarle l’esistenza. Con il grande pilota romano, la De Filippis ebbe una relazione intensissima e profonda che continuò con una solida amicizia anche quando la liaison amorosa si concluse. Fu Musso a permettere a Maria Teresa di acquistare una Maserati 250F per partecipare alle gare di F1. Era il 1958. Correva in ogni categoria ormai da dieci anni e non si pensi che quel suo arrivare sul massimo palcoscenico motoristico del tempo fosse dovuto semplicemente alla sua relazione con Musso: non sarebbe bastato. Maria Teresa aveva un grande talento, davvero incredibile se pensato dentro a quel corpo aggraziato e minuto, eppure tenace e forte. Le corse, allora molto più di oggi, erano affascinanti e crudeli. E maledettamente pericolose. Lei, quella che i colleghi chiamavano “Pilotino” – al maschile, con un termine a metà fra lo sfottò e l’ammirazione – non se ne curava molto.
Esordì nel Gran premio di Siracusa, fuori campionato e su un discreto campo di partenti finì quinta. A Montecarlo non riuscì a qualificarsi, ma in Belgio, Portogallo e a Monza sì battendosi alla pari con molti e titolati colleghi e animando, sempre e comunque, le serate precedenti alle gare con il suo gruppo di amici-piloti: Musso, naturalmente, ma anche Jean Behra, il piccolo campione francese anch’egli stregato dal suo fascino un po’ incosciente. Le corse, si è detto, erano crudeli: Luigi Musso morì in un drammatico incidente durante il Gran Premio di Francia a Reims, il 6 luglio 1958 sulla famigerata curva del Calvario. Maria Teresa resistette, partecipò ancora all’International Trophy all’inizio della stagione ’59 e si iscrisse al Gran premio di Monaco su una Behra-Porsche, ovvero una 718 modificata dal suo amico Jean e che lui aveva preparato per suo fratello José in vista dell’imminente stagione di Formula 2. Non si qualificò, anche se finì vicinissima al compagno di squadra Wolfgang Von Trips, grande campione tedesco anche con la Ferrari. Ma il 1° agosto del 1959 anche Behra morì in pista sul pericolosissimo ed assurdo circuito berlinese dell’Avus mentre guidava in un evento collaterale al Gran Premio di Germania, una Porsche sportcar che inizialmente avrebbe dovuto portare in pista Maria Teresa. Fu dopo quell’ennesimo colpo basso che Maria Teresa lasciò definitivamente le corse. Laureata in ingegneria – anche questo fatto non certo usuale all’epoca – la De Filippis era avanti di decenni rispetto ai suoi tempi. E forse, anche rispetto ai tempi di oggi… Un personaggio da non dimenticare.