Nonostante l’accordo raggiunto tra Repubblicani e Democratici sull’innalzamento del tetto dell’indebitamento del governo americano, ieri le borse di mezza europa, con le ormai usuali differenze, hanno vissuto l’ennesima giornata di sofferenza.
Motivare l’ennesima debacle delle borse con l’incertezza relativa all’approvazione del piano del governo americano attesa per la notte (ieri per chi legge) non è sufficiente. La particolarità delle circostanze economiche attuali è abbastanza evidente dato che, fino a prova contraria, il debito americano di cui si discute il fallimento in questi giorni è lo stesso a vantare ancora una tripla A delle agenzie di rating.
Il fatto che fosse opinione comune tra i gestori americani che il voto sarebbe arrivato proprio tra lunedì e martedì aiuta a comprendere quali siano i reali problemi che stanno spingendo le borse al ribasso; la scommessa sul fallimento degli Stati Uniti e sul mancato accordo non era molto di moda settimana scorsa. Nonostante questo, gli stessi che scommettevano su un esito positivo delle trattative potevano rimanere pessimisti sulle prospettive economiche. I fatti stanno dando ragione a questa tesi.
Ieri non è stato un problema di accordo raggiunto o meno, dato che la scommessa degli investitori era chiara, né un problema di “tipo di accordo” gradito o meno dalla borsa. L’ism manifatturiero degli Stati Uniti, comunicato ieri, è sceso a 50,9 a giugno da 55,3 di luglio contro le attese di 54; il punto centrale è che in una situazione oggettivamente difficile per debiti sovrani fuori controllo, la principale economia del pianeta mostra inquietanti segnali di rallentamento in una fase in cui evidentemente non è più possibile attendersi politiche di stimolo all’economia reale.
Questa fase di rallentamento arriva in un momento in cui i dati sul mercato del lavoro rimangono ancora preoccupanti con le richieste di sussidio ancora nettamente superiori alla norma (per non parlare del settore costruzioni, residenziale, ecc.) mentre il deleveraging, la diminuzione dei debiti, personale e statale, deve ancora arrivare con tutte le conseguenze del caso.
Quando tutti si concentrano sui debiti il mercato si dimostra stranamente razionale mettendo in primo piano la crescita dell’economia e ponendo l’accento sulla capacità di ripagare il debito. Se non c’è crescita questo obiettivo può essere raggiunto solo con maggiori sacrifici, più tasse o tagli alla spesa, e con un generale impoverimento. Pretendere che il mercato decida ora se questi sacrifici daranno o meno i frutti nel medio-lungo periodo è decisamente troppo in questa fase turbolenta; l’unica possibilità è rimanere sulle poche certezze attuali e sul fatto che non preludano a miglioramenti nel breve periodo
Fare previsioni sulla conclusione definitiva di questa fase è decisamente difficile; al momento rimane evidente che il mercato distingue tra economie deboli e forti e stati più o meno indebitati. Rimane anche chiaro che data la fase di incertezza colpire anche al di là delle reali colpe è più facile e redditizio del solito.
Se queste sono le premesse, la volatilità sul debito italiano non sembra destinata a ridursi nel breve e anzi gli stessi che prevedevano l’accordo e dubitavano delle prospettive economiche dell’America si spingono a scommettere su un ulteriore allargamento dello spread Btp-Bund ben al di sopra dei massimi finora raggiunti; il mercato del debito italiano è sufficientemente grande per permettere guadagni per tutti. Il clima di estrema incertezza politica attuale in Italia con un Governo traballante e un ministro dell’Economia in difficoltà per la vicenda Milanese non fa che aumentare gli appetiti su quella che dopo tutto rimane la terza economia dell’area euro.
Davvero, come già sottolineato da Il Sussidiario ieri, le analaogie con il ’92 per quanto riguarda l’Italia si sprecano. A quelli che oggi si stracciano le vesti per P3, P4 e P5, macchine del fango, bande bassotti e “anomalia Berlusconi” bisognerebbe ricordare che il ‘92 ci ha “regalato” anni di zero crescita, privatizzazioni sballate e regalate ai soliti noti e infine “l’anomalia Berlusconi”.
L’Italia oggi è potenzialmente uno dei più grandi e facili affari del mercato. Pensare di poter prendere scelte libere senza un governo e sotto la pressione dei mercati che fanno schizzare il costo del debito italiano e bastonano un giorno sì e l’altro pure la borsa e le banche italiane è un’illusione imperdonabile.
La lettura dei giornali autorizza ogni pessimismo; tutte le condizioni giuste perché la razzia accada stanno velocemente maturando con le solite “buone intenzioni” teleguidate. L’unica, assai flebile, speranza è che in America trovino il modo di lavorare di più e ritornare a crescere il prima possibile, accorciando il purgatorio dell’Italia.