Pianista virtuoso ed amante della musica classica, tanto che una volta dichiarò che se non fosse stato pilota avrebbe fatto il compositore. Ma anche valente sciatore, tennista di talento e giocatore di calcio, nonché sfegatato tifoso romanista. Elegante, affabile, colto e sempre sorridente, personaggio raffinato e pilota veloce e corretto. Tutto questo era Elio De Angelis. Per questo la sua prematura morte a 28 anni dopo un drammatico ed ancora non del tutto chiarito incidente occorsogli mentre provava la sua Brabham sul circuito di Le Castellet, lasciò sgomenti tutti gli appassionati di Formula 1 fra i quali la notizia giunse, a metà di una normale settimana senza gare in programma, come un fulmine a ciel sereno. Era il 14 maggio 1986, esattamente trent’anni fa, un mercoledì verso fine mattinata: probabilmente a causa del distacco di un particolare del suo nuovo alettone che stava testando, Elio si schiantò in pieno contro il guard-rail alla esse della “Vetreria” mentre procedeva a circa 270 Km/h: la vettura decollò letteralmente e ricadde circa duecento metri più avanti dopo vari cappottamenti, prendendo fuoco. L’inadeguatezza dei soccorsi e la loro lentezza, anche se probabilmente non furono decisivi nell’esito fatale dell’incidente, contribuirono ad accrescere l’amarezza per quanto accaduto. Elio morì dopo 29 ore di agonia all’Ospedale di Marsiglia. Stranamente da giovane si era costruito una fama da ragazzo viziato e strafottente quando era entrato nel mondo del karting, forse perché suo padre Giulio era un ricco costruttore romano nonché ex-campione di motonautica e aveva assecondato in tutto la passione del figlio comprandogli perfino, nel 1977, una Chevron per partecipare al Campionato Italiano di F.3. Invece Elio si rivelò subito talento vero e personaggio amabilissimo: vinse subito quel campionato da perfetto sconosciuto costruendo nel contempo una solidissima amicizia con il suo più pericoloso avversario, Piercarlo Ghinzani. Passò in F.2 con il Team Everest di Giancarlo Minardi e incredibilmente e forse con un po’ di azzardo, accettò un volante in F.1 con la declinante scuderia Shadow per il 1979, quando non aveva ancora 21 anni. Nonostante la scarsa esperienza Elio mise in mostra le sue doti e la sua tenacia che furono premiate da uno strepitoso quarto posto a Watkins Glen nell’ultima gara della stagione e dalle attenzioni che gli riservò Colin Chapman, patron della Lotus. Tra i due fu un vero “amore a prima vista”. Chapman considerò subito Elio come un figlio e lo prese sotto la sua ala; il romano per contro, pur di andare alla Lotus, accettò di guidare una stagione gratis per far rientrare la scuderia della costosa penale che aveva dovuto versare alla Shadow per la rescissione del suo contratto. Chapman stava puntando sui giovani e con Elio ingaggiò un esuberante ragazzo inglese che, puntualmente, strinse con il suo compagno romano una amicizia sincera: si chiamava Nigel Mansell. Nel 1982 arrivò finalmente la prima, grandissima vittoria di Elio in Austria, con una volata mozzafiato ai danni di Keke Rosberg. Ma la morte di Chapman nel dicembre del 1982 lo segnò profondamento, causando anche un notevole cambiamento negli orientamenti gestionali del team: vinse ancora una volta a Imola nel 1985, ma i rapporti con la nuova proprietà si erano deteriorati e così, a fine stagione dopo sei anni di Lotus – l’ultimo dei quali speso a fianco di Ayrton Senna – decise di trasferirsi alla Brabham. Fu una scelta fatale: la scuderia era in rapido declino e la BT55 di Gordon Murray era una vettura nata male e scarsamente affidabile. La “Sogliola” fu il nomignolo che subito gli spietati tabloid inglese affibbiarono a quella curiosa vettura esageratamente “bassa”. Fu proprio la BT55 a tradire Elio, quella mattina di una settimana qualunque a Le Castellet. In seguito alla sua morte, la Federazione cambiò i regolamenti imponendo per le sessioni di prova gli stessi standard di sicurezza garantiti presso i circuiti durante le gare. Ma per Elio era troppo tardi e l’Italia perse così uno dei suoi ultimi grandi talenti.