La sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi attesa per il 30 luglio prossimo potrebbe sancire una cesura profonda nella vita politica italiana, poiché una condanna definitiva dell’ex premier porterebbe la sua interdizione dai pubblici uffici. Questo non sarebbe la fine politica di Berlusconi, poiché egli potrebbe continuare a comandare, come fa oggi Beppe Grillo, dal di fuori del Parlamento. Ma la sua interdizione porterebbe poi i magistrati a potere più facilmente indagare su di lui con molte meno restrizioni legali. La sua vita sarebbe quindi meno protetta e sotto una maggiore pressione da parte delle forze inquirenti.
In ogni caso l’uscita di Berlusconi dal Parlamento creerebbe una situazione bizzarra: i leader di due delle tre forze politiche principali italiane, il Cavaliere e Grillo, sarebbero fuori dal Parlamento, il luogo in cui, dal 1945 in poi, si è deciso cosa fare in Italia.
La “extraparlamentarità” del comando in Italia sarebbe solo un aspetto della nuova stranezza del paese. Molti in Italia credono che Berlusconi comunque non farà cadere il governo dopo il 30 luglio, avrebbe troppo da perdere.
Oggi, dentro o fuori il Parlamento, Berlusconi è nella coalizione al potere e in questa posizione riesce a influenzare il governo. Se uscisse la prospettiva potrebbe non essere quella delle elezioni anticipate dove il Pdl dovrebbe trionfare. I grillini, bastonati alle ultime amministrative, sfilacciati dalle polemiche interne, potrebbero rischiare troppo in elezioni anticipate e quindi potrebbero preferire invece restare al governo per qualche anno con la sinistra. Fuori dal governo e fuori dal Parlamento, Berlusconi potrebbe mal difendersi da leggi che colpissero profondamente i suoi interessi politici e finanziari. Tali leggi potrebbero ridurlo al lumicino, o vederlo anche in prigione nell’arco di un anno o due.
Oppure no, e ciò dipende dall’ipotesi che invece Grillo possa preferire andare alle elezioni anticipate, calcolando di avvantaggiarsi dell’attuale legge elettorale, e ottenere la maggioranza in Parlamento. Anche in quel caso Berlusconi potrebbe uscire sconfitto e trovarsi nelle mani di Grillo, forse peggiori di quelle dei magistrati.
In ogni caso è un azzardo. E in ogni caso è un altro passo nella fine di questa seconda Repubblica italiana dominata dalla presenza di Berlusconi, durata un ventennio.
La seconda Repubblica, dunque, come la prima sarà caduta non per un voto popolare, né per un colpo di stato militare, ma ad opera dei giudici, cosa che oggettivamente è unica nei paesi democratici e non. Di fatto in Italia, per una serie di circostanze storiche, negli ultimi 25 anni i giudici hanno assunto un potere senza eguali nel mondo.
In paesi non democratici, o che diventano tali, i cambiamenti politici avvengono per colpi di mano o processi interni. Qui i giudici sono sottoposti a severi controlli del governo. Nei paesi democratici i giudici hanno un potere maggiore che in paesi autoritari ma la loro azione contro la politica nella grandissima parte dei casi ha luogo sulla base di una comune base etica nella classe dirigente.
Un politico travolto o anche semplicemente toccato da uno scandalo giudiziario, si dimette. In cambio, l’azione giudiziaria si stempera e l’uomo può andare in pensione tranquillamente. In Italia ciò non avviene. Andreotti o Craxi non si dimisero alle prime avvisaglie dello scandalo, resistettero, e così facendo condannarono se stessi, i loro partiti e, per più di un verso, il paese. La stessa cosa sta avvenendo oggi con Berlusconi.
Viceversa, la stessa storia può essere raccontata all’incontrario. Di fronte alla resistenza del governo la magistratura non ha indietreggiato ma ha marciato in avanti. Quindi vi è una forza della magistratura che appare maggiore di quella che possono esercitare i governanti; vi è poi la caparbietà dei governanti a non dimettersi.
Il sistema è quindi bloccato perché manca quella che è la base etica dei sistemi democratici: l’idea di accettare il compromesso per preservare il bene comune, l’idea che si vince a turno e chi perde lascia l’altro a governare. In qualche modo c’è una crisi etica profonda in Italia in cui non ci sono valori comuni nel paese e per il paese.
L’Italia ha vissuto per 20 anni in una lotta senza vinti né vincitori intorno a Berlusconi, quasi che fosse una coda non sanata della prima Repubblica. Oggi che la fine di Berlusconi sembra vicina, e che l’uomo, pur sconfitto, è già una leggenda italiana, sarà possibile cominciare a costruire una base comune di intese?
Questa intesa è la base per il futuro già prossimo. Infatti la scadenza vera è il 22 settembre, la data delle elezioni tedesche. Dopo quella data il nuovo governo di Berlino deciderà cosa fare dell’Italia, se espellerla dall’euro o tenercela, imponendo drastiche riforme. A Berlino è probabile che non importi come tornano i conti, purché tornino. La Germania come Stato è più ricco, con meno debito pubblico, dell’Italia, ma i tedeschi sono più poveri degli italiani, hanno meno risparmi, e solo il 40% di loro (contro oltre l’80% in Italia) ha una casa. Una politica espansiva, con inflazione, metterebbe sul lastrico i tedeschi, mentre gli italiani sopravvivrebbero meglio. Perché i virtuosi tedeschi dovrebbero soffrire per i viziosi italiani?
Quindi, dentro o fuori dall’euro, per ottobre-novembre i tempi saranno duri e non si sa chi vorrà assumersi l’onere di questo governo. Intanto però la vicenda Berlusconi in realtà potrebbe fare scivolare tutto prima. La sentenza della Cassazione il 30 luglio è a ridosso di un mese altamente a rischio per le borse. Ad agosto, con scambi limitati, la borsa può essere estremamente instabile e ondate di panico o di speculazioni su Berlusconi potrebbero trascinare al ribasso l’indice di Milano. L’Italia quindi in settembre, alle elezioni tedesche, potrebbe essere già stremata. In questi giorni quindi bisognerebbe trovare una grande intesa per avere un compromesso su Berlusconi ed avere varie opzioni strategiche per affrontare la Germania a settembre. L’Italia lo farà?
Improbabile. Più possibile invece che tutti vadano avanti per il loro tunnel e le grandi decisioni vengano prese poi a Berlino in autunno. Se così sarà, l’Italia sarà già “colonia tedesca” a Natale dentro o fuori dall’euro, e non per volontà di Berlino, ma per mancanza di volontà propria. Forse in fondo sarà meglio così.