L’ennesimo tentativo di una tregua nel conflitto ucraino è fallito, dimostrando come questa non sia la strada per risolvere una guerra che ha ormai causato un numero di vittime quasi tre volte superiore a quelle della guerra contro Gaza, peraltro molto più “attenzionate” dai media. Purtroppo la situazione è diventata talmente critica che una tregua reale può avvenire ed essere rispettata solo come conseguenza di una trattativa più globale.
Innanzitutto, è necessario un passo indietro dei cobelligeranti esterni, Stati Uniti e Russia; l’Unione Europea si è ridotta a giocare un ruolo secondario in questa crisi che ha, peraltro, contribuito in modo notevole a creare. Al contrario, da Washington arrivano segnali di un rafforzamento del braccio di ferro e, accanto a nuove sanzioni economiche, si comincia a parlare del possibile invio di armi al governo ucraino e dell’adesione dell’Ucraina alla Nato.
E’ difficile negare l’aiuto diretto della Russia ai separatisti filorussi, ma è evidente che mosse simili porterebbero a un confronto diretto, e non solo politico-economico, con Usa e Ue, e la terza guerra mondiale rischierebbe di non essere più “a pezzetti”. Sarà bene ricordare che la Dichiarazione 758 approvata dal Congresso il 4 dicembre scorso invitava il presidente Obama a fornire al governo dell’Ucraina “gli strumenti di difesa, i servizi e il training necessari a difendere efficacemente il proprio territorio e la propria sovranità”.
Questa politica, per quanto avventata e pericolosa, rivela una sua coerenza interna: la costituzione di un blocco guidato dagli Usa e difeso da una “muraglia cinese” contro la Cina e una Russia che quella stessa politica sta gettando nelle sue braccia. Gli strumenti, oltre una riedizione della Nato in funzione antirussa, sono i due trattati commerciali TTIP, riguardante l’Europa, e il TPP, rivolto all’area del Pacifico.
Che tutto ciò sia conveniente all’Unione Europea è molto dubbio, ma anche molto difficile da contrastare, data l’essenza totale di una qualsiasi politica estera comune e, nel caso delle sanzioni alla Russia, l’esistenza di interessi contrastanti tra i vari Stati membri.
La tragica conseguenza è l’Ucraina diventata solo una pedina in questo cinico gioco, che difficilmente finirà con un vincitore, ma chi senza dubbio ha già perso è il popolo ucraino, che parli ucraino o russo. Le ferite inferte da questo conflitto saranno difficilmente sanabili e difficilmente si potrà tornare alla situazione precedente. Forse, è anche diventato improprio parlare di guerra civile, perché i russofoni dell’Ucraina non si sentono più ucraini, mentre gli altri ucraini sono forse più interessati all’integrità territoriale che all’integrità nazionale.
Una soluzione stabile può essere trovata solo nella stessa Ucraina, nel riconoscimento dell’esistenza al suo interno di due popoli distinti, che possono convivere se ciascuno riconosce l’identità dell’altro, nell’accettazione di un unico Stato articolato in modo tale da riconoscere e rispettare queste diverse identità.
Era questa la strada indicata dal popolo del Maidan e che gli interessi esterni, non solo della Russia, hanno impedito portando all’attuale tragedia. Anche le responsabilità dell’Ue sono notevoli, a partire dalla promessa di associazione, proposta a Yanukovich prima che diventasse il tiranno da abbattere.
Una proposta speciosa, visti i forti legami economici dell’Ucraina con la Russia, difficili da rompere, soprattutto da parte di un’Ue più pronta a chiedere austerity piuttosto che a risolvere le crisi. Attualmente l’Ucraina è sull’orlo del collasso finanziario, con un’economia ovviamente in crisi e un Paese in buona parte da ricostruire. E’poco credibile che l’Ue possa farsene carico, nel momento in cui si discute di una possibile uscita della Grecia e si ventila un intervento russo in favore di Atene.
L’autoproclamato presidente della repubblica del Donetsk ha dichiarato che vuol trattare solo e direttamente con il presidente ucraino e, pur con tutti i leciti dubbi sulla genuinità di tale proposta, questa è l’unica strada per una soluzione, per poi addivenire a una tregua e a una sistemazione definitiva dell’assetto statale. Né si può escludere, in base al principio di autodeterminazione, che una parte dei russofoni decidano per la separazione, in modo non violento e sotto il controllo internazionale.
La possibilità che l’Ucraina sia riconosciuta per ciò che oggettivamente può essere, non un territorio da contendere e ripartire, ma un punto di incontro, un ponte tra Est e Ovest, che hanno tutto da guadagnare a convivere invece che affrontarsi, non è del tutto perduta. Perché ciò avvenga, è indispensabile che i cobelligeranti esterni siano i primi a deporre le armi e, dato che si fregia di un Nobel per la Pace, sarebbe il caso che fosse Obama a deporre per primo i toni bellicosi.