È ancora fresco di stampa il Libro bianco dal titolo “Un’agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili” predisposto dalla Commissione europea a conclusione di una lunga consultazione degli Stati membri sulla base (come accade nell’Ue) di un Libro verde che poneva una serie di domande sulla previdenza obbligatoria e su quella privata. Il documento (di cui è disponibile anche la traduzione italiana) è passato abbastanza inosservato. È interessante, comunque, la lettura mentre in Italia, con tanti “mal di pancia”, siamo tuttora impegnati a mettere a punto, nel Decreto Milleproroghe, alcune “code” della riforma Fornero attinenti alla fase di transizione.
La lettura del Libro bianco rende evidente quanto sia lontana la nostra cultura da quella europea e come ci ostiniamo a considerare diritti fondamentali aspetti che nell’Ue (si pensi all’età pensionabile delle donne inferiore a quella degli uomini) sono ritenuti vere e proprie discriminazioni. Secondo l’Ue, l’invecchiamento della popolazione rappresenta uno dei principali problemi dei sistemi pensionistici in tutti gli Stati membri. Se uomini e donne, che vivono più a lungo, non restano anche in attività più a lungo e non risparmiano in misura maggiore per la pensione, l’adeguatezza delle pensioni non potrà essere garantita: l’aumento previsto delle spese si rivelerà, infatti, insostenibile.
Entro il 2060, la speranza di vita alla nascita dovrebbe aumentare, rispetto al 2010, di 7,9 anni nei maschi e di 6,5 anni nelle femmine. E non è un problema lontano: è incombente, perché i figli del baby boom vanno in pensione e la popolazione attiva europea comincia a ridursi. Ciò significa che le persone di età superiore a 60 anni aumentano ogni anno di circa 2 milioni, quasi il doppio cioè rispetto alla fine degli anni ‘90 e all’inizio del decennio successivo. Al contrario, il numero di persone in età lavorativa primaria (20-59 anni) si ridurrà ogni anno nei prossimi decenni. L’effetto sommato dell’aumento della longevità e del raggiungimento dell’età pensionabile dei protagonisti del baby boom avrà profonde conseguenze economiche e finanziarie nell’Ue, ridurrà il potenziale di crescita economica e aumenterà la pressione sulle finanze pubbliche.
L’attuale crisi economica e finanziaria – prosegue il documento – non farà che aggravare queste prospettive. Crescita economica fiacca, deficit di bilancio e oneri per il debito pubblico, instabilità finanziaria e bassa occupazione hanno reso più difficile il mantenimento degli impegni che tutti i regimi pensionistici basati su riserve contabili si sono assunti. I regimi pensionistici a ripartizione risentono negativamente della riduzione dell’occupazione e accusano una diminuzione dei contributi. Nei regimi a capitalizzazione diminuiscono il valore degli attivi e i rendimenti.
Diventa quindi più che mai urgente sviluppare e attuare – secondo l’Ue – strategie globali per adeguare i regimi pensionistici all’andamento della contingenza economica e demografica. Si tratta di problemi enormi, ma risolvibili se vengono attuate politiche adeguate. Una riforma dei regimi pensionistici e delle pratiche di pensionamento è essenziale per migliorare le prospettive di crescita europee ed è assolutamente urgente in alcuni paesi nell’ambito delle iniziative in corso tese a ristabilire la fiducia nelle finanze pubbliche.
Poiché economie e società dei vari Stati membri sono sempre più integrate tra loro, il successo o l’insuccesso delle politiche e delle riforme pensionistiche nazionali avranno ripercussioni sempre più forti oltre i confini nazionali, soprattutto in seno all’Unione economica e monetaria. L’importanza centrale che hanno le pensioni per il successo economico e sociale dell’Europa e il rischio crescente di ricadute transfrontaliere delle politiche pensionistiche nazionali, mostrano come le pensioni divengano sempre più una questione di interesse comune nell’Ue.
Di fatto, il successo delle riforme pensionistiche negli Stati membri è un fattore determinante per il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria e misurerà la capacità dell’Ue di conseguire almeno 2 dei 5 obiettivi della strategia Europa 2020: di portare cioè il tasso di occupazione al 75% e di ridurre di almeno 20 milioni il numero delle persone a rischio povertà.
Ma il vero problema, secondo l’Ue, è l’indice di dipendenza economica, definito come percentuale dei disoccupati e dei pensionati sugli occupati. Se, nel campo dell’occupazione, l’Europa raggiunge l’obiettivo della strategia Europa 2020 di un tasso di occupazione del 75% nella popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni e fa ulteriori passi avanti nel periodo 2020-2050, l’indice di dipendenza economica aumenterà solo dall’attuale livello pari al 65% al 79% nel 2050. Molti paesi dovranno darsi da fare per migliorare la futura adeguatezza e sostenibilità dei rispettivi regimi pensionistici e aumentare i tassi di occupazione, non solo nei gruppi di età più avanzata, ma anche nei gruppi con tassi di occupazione inferiori (donne, immigrati, giovani). Raggiungere l’obiettivo fissato dall’Ue per l’occupazione o raggiungere i paesi più efficienti potrà quasi neutralizzare l’effetto dell’invecchiamento della popolazione sul peso relativo delle pensioni sul Pil.
I regimi pensionistici influenzano il comportamento nei confronti della pensione e quindi l’offerta di manodopera e il tasso di dipendenza economica. Parametri essenziali – è questo il senso della riforma Fornero – sono le età alle quali si viene ammessi al pensionamento normale e a quello anticipato. Non l’entità della contribuzione versata, come farebbero bene ad annotarsi i cosiddetti lavoratori precoci.
Attualmente, si trascorre in pensione circa un terzo della vita adulta e, a politiche invariate, questa percentuale crescerà per il futuro aumento della speranza di vita. Inoltre, le possibilità di prepensionamento hanno fatto sì, nel 2010, che i tassi di occupazione nell’Ue dei lavoratori anziani (55-64 anni) fossero inferiori al 50%.Ma questa cifra aggregata per l’Ue nasconde grandi differenze tra gli Stati membri che vanno dal 33% di Malta al 74% della Svezia. Inoltre, i tassi di occupazione delle donne anziane (41%) sono notevolmente inferiori a quelli degli uomini (59%).
La tendenza al prepensionamento degli ultimi decenni si è tuttavia invertita.Il tasso di occupazione della fascia di età tra 55 e 64 anni è aumentato (Ue-27) dal 37,5% nel 2001 al 46,3% nel 2010.Inoltre, riforme dei regimi pensionistici già approvate negli Stati membri, anche se spesso in attesa della loro progressiva introduzione, potranno dar luogo ad aumenti significativi dei tassi di partecipazione dei lavoratori anziani.
Ma occorre fare di più. Il tasso di attività è attualmente ancora troppo basso nelle classi di età appena al di sotto dell’età pensionabile e i progressi troppo limitati. Un’età pensionabile fissa combinata a opzioni che facilitano i prepensionamenti aumenteranno lo squilibrio tra gli anni di attività e quelli trascorsi in pensione. Riformare i regimi pensionistici per aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro sarà cruciale al fine di rafforzare la crescita economica e dare solide basi a pensioni adeguate e sostenibili.
Il successo di riforme tese ad aumentare l’età del pensionamento (compresa l’eliminazione dei prepensionamenti) dipende tuttavia da migliori opportunità per uomini e donne anziani di restare sul mercato del lavoro. Ciò comporta adeguamento dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro, promozione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, politiche efficienti capaci di conciliare lavoro, vita privata e familiare, misure per sostenere un invecchiamento sano, lotta alle disuguaglianze di genere e alle discriminazioni basate sull’età. Inoltre, riforme siffatte saranno accettate politicamente se verranno percepite come giuste. Ciò impone di tener conto del fatto che la capacità di lavoro, e di trovarlo, è molto diversa da una persona all’altra e che la speranza di vita e lo stato di salute a 60 o a 65 anni tende a essere inferiore per lavoratori manuali che hanno iniziato a lavorare in giovane età.
Aumentare l’età effettiva del pensionamento – sostiene il Libro bianco, facendo giustizia di un luogo comune molto diffuso in Italia – non significa favorire l’interesse dei giovani a detrimento di quello degli anziani, ma trovare un giusto equilibrio tra i due. Continuare l’attività per un certo numero di anni di vita non significa privare gli anziani della loro meritata pensione a profitto dei giovani. Né significa che i lavoratori anziani occupino posti di lavoro che altrimenti potrebbero essere occupati da lavoratori più giovani. Gli Stati membri infatti con i più elevati tassi di occupazione per i lavoratori anziani possono esibire anche i tassi di disoccupazione giovanile più bassi.
Sul lungo periodo, il numero dei posti di lavoro non è fisso, ma dipende soprattutto dall’offerta di lavoratori qualificati, motore essenziale della crescita economica. La disponibilità crescente di lavoratori anziani specializzati aumenta il potenziale di crescita dell’Europa e crea quindi maggiori opportunità di lavoro e migliori condizioni di vita per giovani e anziani.