Ieri il Fondo monetario internazionale ha pubblicato il nuovo “World Economic Outlook” in cui l’istituto presieduto da Christine Lagarde ha fatto il punto sulle prospettive dell’economia globale. Anche quella italiana è stata oggetto dell’analisi del Fmi, che si è esercitato con una serie di stime sull’Italia. Le stime sul Pil italiano sono stato riviste “al rialzo” sia per il 2015, da +0,4% stimato a gennaio a +0,5%, che per il 2016, da +0,8% a +1,1%. Tanto potrebbe bastare per comporre un bel titolo a effetto sulla bontà delle prospettive economiche italiane, sulla “ripresa” che finalmente arriva e sul fatto che ormai l’Italia ha svoltato; in pratica siamo sulla strada giusta. Certo, c’è ancora molto da fare, ma il peggio è passato, la svolta è arrivata e quindi basta un po’ di pazienza. Questa “conclusione” è possibile solo con un’analisi superficialissima di quanto si trova messo nero su bianco dal Fondo monetario internazionale alla voce “Italia” nel report di ieri.
I dati che ci riguardano, invece, consegnano un’immagine davvero impietosa dello stato della nostra economia. La figura non si può neanche nascondere perché l’Italia compare nei primi posti e in bella visto in quanto “advanced economy” in un gruppo che ci vede in diretta concorrenza con Stati Uniti, Germania, Giappone, ecc. Tralasciamo il fatto che le stime del Fmi siano più pessimistiche di quelle appena pubblicate dal Governo italiano (+0,7% e +1,4% il Pil nel 2015 e nel 2016) che evidentemente ha preso in considerazione altri elementi. Quello che conta è che l’Italia nel 2015 avrà la seconda peggiore crescita del Pil nella zona euro dopo Cipro e che l’incremento sarà un quinto di quello spagnolo, meno di un terzo di quello tedesco e meno della metà di quello francese. Tutto questo dopo che nel 2014 l’Italia ha avuto la seconda peggiore performance in Europa (sempre dopo Cipro) ed è stata l’unica delle principali economie dell’area euro con un Pil negativo. Andare più indietro nel tempo non aiuta l’Italia.
I dati di cui sopra sono davvero impossibili da non vedere per chiunque scorra anche solo distrattamente la tabella a pagina 51 dell’outlook del Fondo monetario (la trovate in ultima pagina). Anche da un punto di vista “visivo” sono impossibili da non notare. La ripresa che sostanzialmente non ci sarà nel 2015, perché questo significa un Pil in aumento dello 0,5%, nel 2016 si tradurrà in una diminuzione del tasso di disoccupazione praticamente simbolico dal 12,6% del 2015 al 12,3%; un calo apprezzabile solo per gli appassionati di numeri e statistiche, ma che evidentemente sposta poco o nulla per centinaia di migliaia di disoccupati.
La letteratura che è stata prodotta a pacchi sulla ripresa italiana viene fortemente ridimensionata per non dire smentita dalle previsioni del Fmi. Allo stesso modo viene messa in discussione l’idea che l’Italia abbia fatto o stia facendo le cose giuste e importanti nell’ambito di riforme economiche e dintorni. Alla conclusione si arriva guardando le stime al 2016 in cui non solo l’Italia non recupera il differenziale aperto con le altre economie facendo segnare un incremento del Pil superiore a quello degli altri Paesi europei, ma continua, inesorabilmente, a fare peggio degli altri. Qualsiasi sia il contesto economico e finanziario globale all’interno del quale si muovono tutte le economie europee l’Italia “fa peggio”; se gli altri fanno +0,5% l’Italia fa -0,5% e se invece fanno +2% l’Italia fa +1%. Tutto questo avviene quando, come ci è stato ripetuto all’infinito, il calo dei tassi di interessi e quello delle materie prime dovrebbero in realtà dare una marcia in più degli altri all’economia italiana.
L’unica conclusione possibile di fronte a questi dati è che quello che è stato fatto e che viene fatto non sia la risposta e che l’Italia stia accuratamente evitando di fare le riforme, scomode, che servono veramente a rilanciare l’economia e che, tra l’altro, ci vengono puntualmente ricordate a ogni revisione di rating di ogni agenzia: burocrazia, sistema giudiziario, tassazione elevata sono le stesse del 2007 e si vede. Fare cassa con le privatizzazioni è una strategia che “va bene” fino a che rimane qualcosa da vendere, così come la pressione fiscale record “va bene” fino a che c’è qualcosa da tassare. La “scusa” della inadeguatezza della politica economica europea è sicuramente valida, ma non può essere presa in considerazione per difendere un andamento economico che, in Europa, ci vede davanti alla sola Cipro. A meno che si decida che la partita dell’Italia non è più con Francia e Germania, ma con la Grecia e Cipro oggi e con l’Algeria e il Marocco domani.