Nei commenti italiani e, in genere, occidentali ai crimini dell’Isis sono spesso presenti due “mantra” che poco paiono avere in comune con ciò che sta realmente avvenendo in Iraq, Siria e ora anche in Libia.
Il primo è il tentativo di liquidare l’Isis come una banda di assassini che si nascondono dietro un teatrale ritorno al medioevo, che, per certa nostra cultura dominante, è sinonimo senza se e senza male di arretratezza e di oscurità. E’ questo , appunto, un “mantra” particolarmente caro agli intellettuali di sinistra, gli stessi che invocano, su altri versanti, un ritorno del cristianesimo alle sue origini, alla purezza dei primi secoli, non ancora contaminata dalle commistioni con il potere.
Per continuare nella contraddizione, questi stessi circoli si meravigliano che una parte del mondo musulmano voglia anch’essa ritornare alla purezza dei suoi primi tempi. Un desiderio che è molto più diffuso tra i musulmani di quanto non sia l’Isis con i suoi mezzi violenti e criminali. In questo quadro rientra anche il richiamo del califfato, per quanto anacronistico possa sembrare a noi occidentali. Un periodo quello dei califfi, non solo glorioso per l’espansione dell’islam, ma anche un momento di unione tra autorità religiosa, politica e militare in capo a uno solo, il califfo, successore del Profeta.
Anche questo sembra strano a noi occidentali, per i quali potere politico e potere religioso sono, e devono essere, separati. Per la verità, questa è una posizione soprattutto cattolica, perché i sovrani di Inghilterra sono capi dello Stato e della Chiesa anglicana e la Chiesa luterana è Chiesa di Stato in Norvegia, Danimarca, e lo è stata fino a qualche anno fa in Svezia, e la Chiesa ortodossa lo è in Grecia, per fare qualche esempio.
La costituzione di un califfato, per quanto autoproclamato, all’interno del mondo islamico ha un significato, perciò, molto diverso e ben più pericoloso da quello che avrebbe in Europa la pretesa di ricostituire il Sacro Romano Impero, che sarebbe considerata una roba da pazzi,. E’ probabile che molti musulmani considerino in modo positivo l’eventuale ricostituzione di un califfato, anche se contestano la legittimità e i metodi di quello proclamato dall’Isis. Per esempio, un alto esponente islamico turco dichiarò a suo tempo che se un califfato avesse dovuto risorgere, questo doveva avvenire in Turchia, dove il califfato fu abolito da Ataturk all’inizio degli anni ’20.
Il secondo “mantra” è che comunque quelli dell’Isis e gli altri jihadisti non rappresentano il vero islam. Non sembrando corretto che siano dei non musulmani a pronunciarsi in proposito, è meglio vedere cosa dicono all’interno dell’islam stesso. Non vi è dubbio che i pareri siano discordi, ma può essere interessante quello che arriva da uno dei luoghi più autorevoli dell’islam sunnita, spesso citato anche in Occidente: l’Università di al-Azhar del Cairo.
In una intervista rilasciata a metà gennaio a un quotidiano egiziano e riportata sul sito di Oasis, l’imam al-Tayyib introduce una importante distinzione tra miscredenti e peccatori, affermando che i jihadisti non possono essere considerati miscredenti, ma peccatori, e rimangono quindi musulmani anche se cattivi musulmani, che a causa delle loro cattive azioni rientrano sotto la pena del taglione. Cosa riaffermata anche in una successiva dichiarazione dopo l’assassinio del pilota giordano, in cui l’imam invocava la pena di morte contro i miliziani dell’Isis, che dovevano essere sgozzati e via dicendo, con una grandguignolesca descrizione, appunto, della pena del taglione.
La richiesta fatta proprio in un recente intervento ad al-Azhar dal Presidente egiziano, generale al-Sisi, di un progressivo avvicinamento dell’islam alla modernità sembra avere davanti a sé una lunga strada. Anche se proprio la “medievale” Isis dimostra una notevole efficienza nell’usare non solo le armi, ma anche le tecniche e i mezzi di comunicazione della modernità.