Il tormentone del negoziato sul mercato del lavoro è arrivato a un primo approdo. Nessuno, neppure le organizzazioni che hanno aderito all’intesa (tutte meno la solita Cgil) saranno chiamate a sottoscrivere qualche protocollo che riassuma, in articoli, i punti di un accordo “mai nato”. Può essere che, nei prossimi giorni, si adotterà la formula di un verbale che raccolga il senso complessivo di una vicenda in cui la vera posta in gioco non era – e non è – tanto il merito dei problemi o la ragionevolezza dei comportamenti sociali, quanto piuttosto l’accanita difesa di un passato che non vuole passare e che – al pari di uno zombie – continua ad aggirarsi negli “idola tribus” di taluni soggetti sociali che, per il ruolo che svolgono, dovrebbero guardare avanti; eppure, non riescono a farlo, perché, al pari dell’Orfeo della leggenda, temono che la loro Euridice (ovvero il senso della propria identità) si trasformi in una statua di sale.
Non vi sarà, dunque, un’intesa in senso classico; tanto meno, un accordo separato. Non ne era interessato il governo, che, paradossalmente, avrebbe avuto più problemi con il Pd se fosse risultata formalmente (auto)esclusa la Cgil. Così Cisl e Uil e Confindustria non hanno alcun motivo per concedere a Monti ciò che egli non pensa minimamente di richiedere. Il premier ancora una volta ha dato prova di una statura non comune. Bisogna andare indietro di decenni – al Bettino Craxi del 1985 e al Giuliano Amato del 1992 – per trovare un leader tanto deciso e determinato, pronto a chiudere una partita durata troppo a lungo.
Ci auguriamo che almeno si trovi un modus vivendi: ovvero una forma articolata di gestione del consenso e del dissenso, permettendo a ciascuna delle parti di esprimere le proprie valutazioni (con la promessa tacita di far seguire, al massimo, una conflittualità di facciata, come avvenuto nel caso delle pensioni). Le dichiarazioni di Susanna Camusso non lasciano ben sperare. Forse la segretaria della Cgil ha dovuto alzare la voce in vista della riunione del Comitato direttivo della sua organizzazione.
Ora, il negoziato si sposterà in Parlamento dove la Cgil troverà tanti avvocati difensori. L’Idv ne ha già sposato la causa fino in fondo. Ciò creerà ulteriori problemi al Pd, già in grandi difficoltà a reggere, al proprio interno, una sfida così importante e delicata perché va al fondo delle radici della cultura di un partito che non è stato capace di uscire dal Novecento. Che farà il Pdl? Si comporterà come nel caso delle pensioni, reggendo la coda ai contorcimenti del Pd, oppure difenderà la riforma del mercato del lavoro? O ancora meglio: insisterà per apportarvi dei cambiamenti su di una linea totalmente alternativa a quelle su cui si impegnerà il Pd?
A questo proposito, sarà bene chiarire come stanno veramente le cose se si vogliono valutare con onestà intellettuale i contenuti, anche in vista di quella mediazione che Pd e Pdl saranno costretti a cercare, perché questa volta è il Parlamento il punto in cui finisce lo scarico del barile. Quanto al merito, il Pdl ottiene una vittoria di principio, perché l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sarà modificato, ma gli effetti pratici di tali modifiche saranno, invero, assai modesti, mentre gli indennizzi previsti sono tanto onerosi da rendere conveniente la reintegra.
La Cgil e il Pd, magari senza essersene resi conto, conseguono un successo, in via di fatto, di ben più ampia portata, perché, nel suo piano, il governo ha assunto i capisaldi della mistica della precarietà. Sui rapporti di lavoro flessibili, calerà una vera e propria “cortina di ferro”. Su tali tipologie (che regolano la cosiddetta flessibilità in entrata ai sensi della legge Biagi) graveranno una pregiudiziale di illegittimità e un’inversione dell’onere della prova a carico dei datori, che scoraggeranno le imprese dal farne uso. Ma, al di là della doverosa lotta agli abusi, è una mera illusione pensare di poter costringere le aziende ad assumere a tempo indeterminato – attraverso un percorso fatto di vincoli, divieti, autorizzazioni e ispezioni – perché esse preferiranno non assumere.
In ogni caso, sarà opportuno non trarre conclusioni affrettate e attendere i pochi giorni che ci separano dalla chiusura della fase di concertazione tra le parti sociali. Forse, il sostanziale giro a vuoto del negoziato segnala anche la chiusura di una fase e l’apertura di una nuova. A suo tempo, le parti sociali caldeggiarono a gran voce l’instaurazione di un governo tecnico nella convinzione che a loro sarebbe spettato quel ruolo di Lord Protettori che esercitarono ai tempi del governo Dini. Si sono imbattuti, invece, in un governo che appartiene, politicamente parlando, a un’era geologica più avanti della loro.