Tanti sono gli errori da rimproverare al “governo degli infallibili” che sarebbe il caso di limitarsi a quelli più gravi. Sarebbe il momento, così, di abbassare i toni sul nuovo tormentone nazionale dei cosiddetti esodati, una categoria di persone che ha sicuramente dei seri problemi e delle legittime preoccupazioni, ma che, grazie ai media, sono assurte alla condizione di veri e propri “dannati della terra”.
Lo so, è impopolare non cospargersi il capo di cenere e non impegnarsi a risolvere la questione degli “esodati” come se fosse la madre di tutte le priorità. Ma qualcuno dovrà pur prendersi la responsabilità di mettere in fila, secondo qualche razionale criterio (se possibile, anche scomodando il concetto di equità) le tante situazioni di disagio di cui soffre la popolazione del nostro povero Paese, prima che si dia ragione a chi fa sentire con più forza e insistenza la sua voce.
La vicenda degli “esodati”, al pari di quelle degli altri “salvaguardati”, con riguardo alle nuove regole del pensionamento introdotte dalla riforma Fornero, nasce da un limite serio della riforma stessa. Per decenni le misure di riordino pensionistico si sono troppo preoccupate di salvaguardare i problemi della transizione, rinviando il più avanti possibile l’andata a regime delle nuove e più rigorose regole; la riforma del governo Monti ha fatto il contrario e oggi l’esecutivo si trova a dover gestire una deroga concernente alcune decina di migliaia di lavoratori che, in una fase di recessione, contemporaneamente rischiano di essere usciti dal mercato del lavoro, scoperti sul versante degli ammortizzatori sociali e impossibilitati ad accedere alla pensione che nel frattempo si è spostata in avanti di qualche anno.
Va ricordato però che la legge (dapprima il decreto “Salva Italia”, poi corretto dal “Milleproroghe”) ha riconosciuto il mantenimento del previgente regime pensionistico ad alcune categorie di lavoratori (“esodati”, in mobilità, in prosecuzione volontaria, inseriti nei fondi di solidarietà e quant’altro). Su tali situazioni è scoppiata la solita guerra dei numeri. Quanti sono? Ben 350mila come è stato scritto e detto nei giorni scorsi? 200-250mila come si poteva desumere dalle dichiarazioni rese dal Direttore Generale dell’Inps, Mauro Nori, in Commissione Lavoro della Camera? Oppure 65mila come risulta dal comunicato del Ministero del Lavoro? Il loro ammontare complessivo è di assoluto rilievo perché la copertura finanziaria è prevista unicamente per 65mila (salvo applicare la clausola di garanzia con i suoi effetti negativi sul costo del lavoro).
Si direbbe, pertanto, che il Governo sia il solo ad aver centrato l’obiettivo. La realtà è ben diversa, perché i dati tendono a coincidere. Nori si è mosso nell’ambito di “platee” spalmate lungo il prossimo quadriennio arrivando a delineare un fabbisogno di 130mila casi da “salvaguardare” (al netto dei soggetti in prosecuzione volontaria). Il Governo, dal canto suo, ha enucleato, nel numero di 65mila, i casi che già ora hanno esaurito le forme di tutela pubbliche e private e raggiunto i previgenti limiti di quiescenza, riuscendo, così, a far quadrare il cerchio delle coperture finanziarie, almeno nell’immediato.
Poi – sembra aggiungere il comunicato – si vedrà. Rimangono fuori dal conteggio, ma non dalla tutela, coloro che sono in prosecuzione volontaria: ben 1,4 milioni di cui 1,2 milioni lo erano già prima del 2007. Per questa tipologia opereranno dei criteri fortemente selettivi. Tutto ciò premesso viene normale una domanda. Se le norme di salvaguardia sono già previste dalla legge, se le risorse sono disponibili per affrontare il problema di quanti si trovano ora in mezzo al guado, se c’è l’impegno di fare fronte ai problemi che si porranno in seguito, non vale forse la pena di stare a vedere, magari promuovendo tutte le forme di vigilanza attiva utili a tener vivo il problema?
In momenti di difficoltà finanziaria come l’attuale le risorse devono esserci se e quando servono. In particolare, gli “esodati” diversamente dalle altre categorie di “salvaguardati” hanno negoziato delle extraliquidazioni (talvolta hanno ottenuto in cambio l’assunzione di un figlio). Non tutti hanno sottoscritto patti di non concorrenza che impediscono loro di cercare un altro lavoro: impresa certo non facile, a un’età matura, ormai prossima alla pensione. Premesso, dunque, che delle soluzioni eque vanno trovate, come il governo si è impegnato a fare, bisogna anche entrare nell’ordine di idee per cui la pensione non può più essere in futuro il toccasana di tutti i problemi. Non a caso nella riforma del mercato del lavoro il governo sta studiando diverse forme di protezione (i fondi di solidarietà) per quanti perdono il lavoro da anziani.