In un’intervista rilasciata all’inizio degli anni Ottanta aveva dichiarato di essere disposto a difendere una decina di suoi film, che però «non sarebbero mai nati se non avessi fatto altri film sbagliati, in parte o completamente. Ma film in cattiva fede non ne ho mai fatti». Era quindi in pace con la propria coscienza di cineasta il regista e sceneggiatore Luigi Comencini, scomparso nel 2007 a quasi 91 anni, uno dei grandi maestri della commedia all’italiana, oltre a essere conosciuto come “il regista dei bambini”.
In occasione del centenario della sua nascita (Salò, 8 giugno 1916), la Biennale di Venezia – che già lo aveva omaggiato con il Leone d’oro alla carriera nel 1987 – ha inserito in programma alle 20:30 di oggi, martedì 30 agosto, in Sala Darsena, come serata di pre-apertura della 73ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, la proiezione in prima mondiale (gratuita per i veneziani) del capolavoro comenciniano Tutti a casa (1960), presentato in una versione restaurata digitalmente da Filmauro e CSC – Cineteca Nazionale di Roma.
Il film – prodotto da Dino De Laurentiis, interpretato da Alberto Sordi, Serge Reggiani, Martin Balsam, Nino Castelnuovo, Carla Gravina ed Eduardo De Filippo e premiato da un grande successo di pubblico (oltre un miliardo di lire di incasso all’uscita nelle sale) – è considerato uno tra gli esiti più celebri e riusciti della commedia all’italiana. 8 settembre 1943: mentre il grido del momento tra i soldati è «Tutti a casa, la guerra è finita», ha inizio l’odissea di venti giorni, un “on the road” nostrano da Nord a Sud attraverso l’Italia segnata dall’armistizio, del sottotenente romano Alberto Innocenzi (Sordi) in compagnia di un inseparabile (e ulceroso) geniere napoletano di nome Assunto Ceccarelli (Reggiani).
Ancora oggi basta il solo volto dell’Albertone nazionale – attaccato al telefono in un bar con accanto gli ignari proprietari del locale (e il suo altrettanto ignaro superiore all’altro capo della linea) – che riceve la fatidica notizia per vedervi mirabilmente espresso uno dei momenti chiave del nostro Novecento: «Signor colonnello, tenente Innocenzi! Accade una cosa incredibile! I tedeschi si sono alleati con gli americani! No! Allora tutto è finito, signor colonnello! Ma non potreste avvertire i tedeschi? Ci stanno continuando a sparare! Mi scusi signor colonnello, ma cerchi di comprendere… io ero all’oscuro di tutto. Quali sono gli ordini?»
Una scena giustamente famosa che fa il paio con quella finale («Non possiamo fare qualche cosa? […] Non si può stare sempre a guardare!»), che vale anch’essa il film: poco dopo essere stato letteralmente salvato da una serie di “Ave Maria” insieme ad altri compagni di prigionia, con lo sguardo improvvisamente determinato, va in soccorso di due partigiani napoletani alle prese con una mitragliatrice. Come non vedervi un punto di svolta di tutta una vita trascorsa a obbedire a degli ordini che fin lì lo avevano lasciato in fondo tranquillo del e nel suo “ruolo” all’interno del proprio mondo, fosse anche quello militare? In proposito, per meglio approfondire sia la portata della pellicola di Comencini che quella del passaggio storico descritto, si possono citare una testimonianza e una lettura diametralmente opposte di questa sequenza.
La prima è dello stesso regista e sceneggiatore, che nel 1994 ha avuto modo di ricordare come trovasse «il personaggio di Sordi perfetto per il tenente Innocenzi. Durante la sua resipiscenza sostanziale che lo porta a sparare sui tedeschi, egli viene meno al suo impegno di non prendere mai posizione nelle scelte decisive. Per il finale di Tutti a casa egli avrebbe voluto più o meno questo: Innocenzi, caduto sempre più in basso, vede passare gli americani ricchi e vincitori, egli stende una mano chiedendo una sigaretta, l’americano da una jeep gliene butta un pacchetto. Umiliato e vinto, il buon Innocenzi lo raccoglie e ne fuma una» (ora in: Luigi Comencini, “Al cinema con cuore. 1938-1974”, [a cura di Adriano Aprà], Il Castoro, Milano 2007, pp. 183-184).
La seconda è della sceneggiatrice e critica cinematografica Patrizia Pistagnesi che, in una raccolta di saggi sempre a cura di Adriano Aprà dal titolo “Luigi Comencini. Il cinema e i film” (Marsilio, Venezia 2007, pp. 21-22), precisa come «il passato è precipitato nel presente, come indica la geniale battuta finale di Alberto Sordi che, pur scegliendo di agire, dice “Signorsì” mettendosi al mitra come è stato abituato a fare nelle fila dell’esercito fascista. Il passato dunque precipita nel presente, senza essere setacciato, filtrato, epurato, inquinandone per sempre l’energia progressiva. Siamo alle radici di una commistione che si rivelerà catastrofica».
La prima è una voce proveniente direttamente, anche se a distanza di anni, da quel laboratorio di idee, ripensamenti e compromessi che – al di là di qualsiasi sceneggiatura di partenza – sempre è stato e sarà un set cinematografico, uno degli innumerevoli casi dalla caleidoscopica storia del cinema di quel che avrebbe potuto essere e che non è stato. La seconda è una lettura certo raffinata e densa di ciò che è stato e che, stampato e montato nella pellicola definitiva, continuerà a interrogarci in versione restaurata, al di là di una (non così improbabile) storia d’Italia attraverso il cinema italiano. Insieme all’indelebile immagine di un marinaio su di un cavallo al galoppo verso chissà dove…