Nell’ambito della 73ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, in corso fino a sabato 10 settembre al Lido di Venezia, oggi alle 15:00 (Sala Giardino) e domani alle 9:00 (Sala Volpi) è in programma nella sezione “Venezia Classici” – selezione di non pochi titoli d’antan riproposti in versione restaurata e di documentari sul cinema – la proiezione del capolavoro di Gillo Pontecorvo (1919-2006), La battaglia di Algeri: il modo più indicato per festeggiare i cinquant’anni della pellicola, presentata proprio a Venezia nel 1966 in occasione della 27ª edizione del Festival e premiata con il massimo riconoscimento della competizione, il Leone d’oro.
Siamo all’inizio degli anni Sessanta: dopo aver diretto intorno alla metà degli anni Cinquanta alcuni cortometraggi e il mediometraggio Giovanna del film a episodi Die Windrose curato dal grande documentarista Joris Ivens, aver esordito nel 1957 nel lungometraggio con La lunga strada azzurra ed essendo reduce dal suo primo, inaspettato successo internazionale grazie a Kapò (1960), Pontecorvo (insieme al fidato sceneggiatore Franco Solinas) è alla ricerca di nuovi e soprattutto convincenti soggetti per il grande schermo.
Sull’onda degli eventi ancora in pieno svolgimento e sulle prime pagine di tutti i giornali (la guerra d’Algeria termina infatti domenica 1 luglio 1962, giorno del referendum per l’indipendenza), si pensa a un’opera che parli del colonialismo attraverso il personaggio di un giornalista (ed ex paracadutista) francese inviato in Nord Africa, ma il progetto – la cui eventuale coproduzione americana fa pure balenare le candidature di Paul Newman e Warren Beatty per il ruolo principale – sfuma.
Nel 1964 Yacef Saadi, ex capo militare del Fronte di liberazione nazionale (Fln) ad Algeri e ora titolare della casa di produzione Casbah Film, arriva in Italia in cerca di un regista per una pellicola che celebri la recente lotta del suo popolo. Dopo aver sondato dapprima Rosi e Visconti, è il turno di Pontecorvo, che accetta a condizione di poter evitare esiti dal sapore agiografico o propagandistico. Le ricerche per l’ideazione della sceneggiatura durano sei mesi, tanto quanto la sua successiva stesura: stando al regista, Tu partorirai con dolore e La nascita di una nazione sono due dei possibili titoli del futuro film.
Come egli stesso spiega in un’intervista del 1973, in occasione della pubblicazione della traduzione americana della sceneggiatura, «[p]er me, il momento più toccante, affascinante e illuminante della guerra d’Algeria, quello che veramente mi ha preso, è stata la nascita, lo sviluppo e la caduta dell’organizzazione dell’Fln ad Algeri, cioè proprio la battaglia di Algeri. C’erano momenti durante questa battaglia, per esempio lo sciopero generale, in cui era necessario uno sforzo concertato della popolazione, e queste occasioni mi offrivano la possibilità di raccontare quello che mi interessa di più: i sentimenti e le emozioni condivise da una moltitudine, la capacità delle masse, in certi momenti, di esprimere certe qualità e un tipo di entusiasmo che di solito non si trovano nell’individuo. Ero stimolato e turbato dalle sofferenze e dal dolore di entrambe le parti, dalla speranza e dai sentimenti collettivi messi in moto dagli eventi. […] Era come filmare la nascita di una nazione».
Alla fine della sua avventurosa lavorazione, dopo poco più di quattro mesi di riprese ad Algeri, grazie a un cast tecnico ridottissimo (solo nove italiani) e non certo “navigato” (gli altri membri sono tutti algerini di nessuna esperienza, o solo televisiva in casi molto rari), l’utilizzo di attori non professionisti (a eccezione del francese Jean Martin, che veste i panni del colonnello Mathieu), ciò che viene girato, stampato e montato è ancora ricordato come qualcosa di «romantico, confuso», una pellicola che «conserva la sua forza d’urto, il suo valore di testimonianza, di esempio unico di rivisitazione storica a ridosso dei fatti (ricostruiti realmente come se si trattasse di un cinegiornale, controtipando più volte il negativo per ottenere il contrasto delle “attualità”)», come scrive Fernaldo Di Giammatteo nel suo “Dizionario del cinema. Cento grandi film” (Newton Compton, Roma 1995, p. 28).
Un’opera la cui distribuzione, nonostante il premio a Venezia (dove la delegazione francese decide di non assistere alla proiezione, abbandonando poi il Festival alla notizia della vittoria di Pontecorvo), viene vietata nella République d’Oltralpe fino al 1971. Rivedere oggi il film del «pericoloso […] poeta marxista» Pontecorvo (così lo definisce Pauline Kael nella sua recensione su “The New Yorker”) è ancora un’esperienza non da poco anche solo in DVD, per come ha saputo sì catturare lo spirito del tempo e della lotta contro il colonialismo, ma senza scansare per questo il problema della non facile convivenza tra minoranze musulmane e delle radici (anche ideologiche) del terrorismo islamico. Si tenga presente che la pellicola è stata visionata, analizzata e discussa nelle accademie militari statunitensi alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra del Golfo (20 marzo 2003): strani incroci della Storia (non del cinema) quelli che portano dalla battaglia negli angusti vicoli di Algeri all’invasione attraverso i deserti dell’Iraq…