Il Governo tedesco potrebbe scegliere già oggi il partner al quale affidare le sorti di Opel. Sarà la nostra Fiat, azienda uscita da poco da anni problematici dal punto di vista della strategia e della gestione e subito proiettata come attore chiave nella ricomposizione del mercato mondiale dell’auto? O sarà invece il gruppo austro-canadese Magna alleato con la casa automobilistica russa Gaz, la banca russa Sberbank e sostenuto finanziariamente anche dalla banca semipubblica tedesca Commerzbank? Il rush finale sembra essere tra questi due soggetti, avendo oggettivamente molte minori possibilità il fondo di private equity Usa Ripplewood.
Marchionne ha giustamente dichiarato ieri mattina che si augura che la scelta sia economica, non politica. Se il Governo Merkel deciderà dando peso preponderante ai fattori politici, infatti, è certo che sceglierà Magna, azienda appartenente al mondo di lingua tedesca e fortissimamente gradita alle organizzazioni sindacali, alla Spd e a diversi governatori di lander che ospitano stabilimenti Opel. Se invece prevarranno criteri di tipo economico è indiscutibile che Fiat sia l’unico dei pretendenti ad apportare una notevole competenza industriale, indispensabile per rilanciare e riportare in attivo l’azienda tedesca.
Produrre auto senza perdere soldi è un infatti un mestiere molto difficile: (a) il mercato, pur caratterizzato da un numero limitato di grandi e medi produttore, è molto concorrenziale e pienamente globalizzato, dato che ogni consumatore può scegliere in pratica tra i modelli di qualsiasi operatore di qualsiasi paese; (b) nel corso del tempo la concorrenza è riuscita a trasferire molti vantaggi ai consumatori sotto forma di dinamiche dei prezzi decisamente inferiori al tasso generale d’inflazione e di notevoli miglioramenti qualitativi (basta confrontare, a titolo di esempio, l’attuale 500 con quella di quaranta anni fa) ; (c) a livello mondiale e soprattutto di paesi sviluppati vi è tendenzialmente un eccesso di offerta (sovra capacità complessiva degli impianti), accentuato dall’attuale recessione economica, con una conseguente necessità di razionalizzazioni e accorpamenti.
Potrà sembrare paradossale ma nel settore dell’auto la crisi mondiale sta accelerando notevolmente il processo di globalizzazione e porterà a molti meno gruppi automobilistici molto più grandi del passato. Non molto tempo fa Marchionne aveva dichiarato che la scala minima di un gruppo che volesse stare in maniera non problematica sul mercato mondiale era di sei milioni di veicoli, più del triplo di quelli prodotti dalla sua azienda. Se l’operazione Opel andrà in porto favorevolmente, Fiat risulterà a capo di un gruppo che rispetta questo requisito e che registrerà circa 80 miliardi di fatturato l’anno.
Perché sono necessarie dimensioni così grandi (che Opel se sarà venduta a Magna non potrà raggiungere)? La risposta è da ricercarsi negli ingenti investimenti che il settore richiede. Ideare e progettare una nuova auto e costruire le linee di produzione di un nuovo modello richiede di sostenere costi altissimi ancora prima di far uscire dalle linee un solo veicolo; tali costi possono essere recuperati solo attraverso un numero di auto vendute molto elevato per ogni modello.
Un esempio: immaginiamo che i costi d’investimento di un nuovo modello ammontino a un miliardo di euro e che i costi variabili per far uscire dalle linee ogni singolo esemplare siano di diecimila euro. Se quell’auto può essere venduta a un prezzo (al concessionario che la distribuisce, non al consumatore finale) di quindicimila euro saranno necessarie ben duecentomila unità vendute per recuperare l’investimento sostenuto. Il produttore inizierà a guadagnare con la prima unità dopo le duecentomila, il che potrà verificarsi anche a distanza di diversi anni dall’inizio della progettazione del modello.
Questo semplice esempio numerico dovrebbe essere sufficiente a rendere l’idea di quanto sia complicato il settore produttivo e di quanto siano indispensabili competenze industriali consistenti per governare efficacemente un’impresa del settore. Perché un’azienda, come è il caso di Opel, perde? L’esempio precedente può servirci per rispondere: perché non riesce a vendere tutte le duecentomila auto preventivate per raggiungere il breakeven, oppure perché la crescente concorrenza non permette di vendere a 15 mila euro ma solo a 14 mila, spostando in tal modo il punto di breakeven da 200 a 250 mila unità.
È importante osservare tutti gli aspetti sui quali la concorrenza agisce: (i) tende a limare i prezzi ai quali si può vendere, in ogni caso a tenerne la dinamica al di sotto dell’inflazione generale (e di quella dei prezzi dei fattori impiegati); (ii) tende a far crescere gli investimenti tecnologici necessari (il miliardo del mio esempio); (iii) tende a far migliorare gli aspetti qualitativi dei veicoli (e per dare più qualità ai consumatori bisogna anche sostenere più costi variabili, ad esempio per allestimenti migliori e più efficienti apparati per la sicurezza). Ognuno di questi fattori, come si può comprendere, contribuisce a far crescere il numero di auto che occorre vendere per raggiungere il punto di pareggio e a mandare in perdita le molte case produttrici che non vi riescono.
Le riflessioni precedenti dovrebbero essere sufficienti a convincere del carattere fondamentale delle dimensioni di scala, i sei milioni di unità all’anno di Marchionne (tra l’altro gli alti costi d’investimento possono essere contenuti attraverso la progettazione congiunta di una pluralità di modelli di un’identica gamma su una stessa piattaforma) e della competenza industriale necessaria per la gestione efficiente di un’azienda automobilistica.
Non vi sono quindi dubbi sul come ordinare da un punto di vista economico le diverse proposte pervenute al Governo Merkel: un fondo può apportare fonti finanziarie che però andrebbero facilmente perse se la gestione non trova il necessario equilibrio di cui si è appena discusso; un produttore di componenti come è Magna ha maggiori conoscenze del settore che però non appaiono sufficienti (non riguardandone il core industriale) e anche se si trattasse di un produttore automobilistico (nella cordata vi è il russo Gaz) le dimensioni del medesimo sono comunque un elemento discriminante. Per tutte queste ragioni la candidatura Fiat è in vantaggio dal punto di vista economico e forse per le stesse ragioni è anche in svantaggio dal punto di vista politico.
Deciderà oggi il Governo Merkel tra Magna e Fiat? Non è detto. Considerando che tende nel caso specifico ad assomigliare a un classico governo italiano (dichiarazioni in libertà dei ministri, fughe di notizie, divergenze di opinioni) potrebbe anche optare per la tradizionale opzione del rinvio. Anche perché all’ultima ora e fuori tempo massimo (o forse no) sembra sia pervenuta una quarta offerta, quella del costruttore d’auto cinese Beijing Automotive Industry Holding Co (Baic).
Considerando che Baic non è un costruttore che progetta auto sue, se non negli ultimi anni e marginalmente, ma produce su licenza modelli di altre case internazionali, tra cui in primo luogo Mercedes, ci si chiede se si tratti di un’offerta autonoma o se invece Daimler non stia intervenendo attraverso un soggetto interposto. Un colpo di scena che potrebbe anche non essere l’ultimo.