Passano gli anni. Da Imagine di John Lennon ne sono trascorsi parecchi e molte cose sono cambiate. La guerra del Vietnam è un ricordo, è caduto il muro di Berlino, la società è meno “ingessata”, la “liberazione sessuale” c’è stata, i giovani hanno molto più potere – per lo meno hanno più potere d’acquisto – e le religioni, beh quelle si stanno spegnendo.
Certo ci sono ancora “possesso, cupidigia e fame”, ma alcuni dei sogni-incubi di John Lennon si sono realizzati. Bene: nel 2003 una delle cantanti rock di maggior successo del decennio a cavallo tra i due millenni (il suo “Jagged Little Pill”, un disco del ’95, ha venduto circa 20milioni di copie; il successivo, “Supposed Former Infatuation Junkie”, “solamente” settemilioni….),
Alanis Morissette, decide di ritornare sul tema e scrivere i propri desiderata per contemporaneizzare alla propria generazione le speranze dell’occhialuto musicista di Liverpool. E senza mezzi termini Alanis da un nome a questi sogni: li intitola Utopia, un prestito da Thomas More in cui disegna in questa canzone di grandissima sensibilità inserita in “Under rug swept” proprio una serie di fotogrammi di vita, tutti basati sul rapporto ideale e idealizzato tra le persone:
Ci riuniremmo tutti in una stanza
Inizieremmo un dialogo
Ce la prenderemmo tutti con calma, a riposo dalla colpa
Non mentiremmo senza paura, né dissentiremmo senza giudizio
Staremmo a rispondere ad espandere
Ad includere a permettere a dimenticare
A divertirci a evolvere a discernere a informarci
Ad accettare ad ammettere a divulgare
Ad aprire, a stendere la mano ad alzare la voce
Condivideremmo e ascolteremmo e sosterremmo
E daremmo il benvenuto, saremmo sospinti dalla passione
Non investiremmo nei risultati, respireremmo
E saremmo incantati e divertiti dalla differenza
Saremmo gentili e faremmo posto ad ogni emozione
Avremmo piazze, parleremmo tutti a voce alta
Saremmo tutti ascoltati, tutti ci sentiremmo guardati
Questa è utopia questa è la mia utopia
Questo è il mio ideale, il fine che vedo
Utopia questa è la mia utopia
Questo è il mio nirvana
Il mio massimo
Il quadro disegnato-sognato da Alanis è per molti versi affascinante e roseo, buonissimo e fragrante come un panettone natalizio. Chi direbbe di no a uno che ti dice “il mio sogno è essere incantato dalle differenze, l’essere noi tutti gentili, tutti ascoltati e tutti guardati”. Gli si può imputare il fatto di non essere realizzabile? No, perché fin dalla sua dichiarazione è una visione “utopica”, è il “mio nirvana”, il “massimo”.
Un massimo fatto di rapporti finalmente rappacificati, umani, non competitivi tra le persone. In questo inizio di 2011 così conflittuale ovunque, così ambiguo, violento, disordinato, spietato e incomprensibile, qualcuno si può lamentare di un sogno? Un sogno è bello proprio perché è fuori dall’ordinario: che male c’è?
Ok Alanis (potremmo chiamarti “mamma Alanis”, visto che proprio il giorno di Natale dell’anno appena trascorso è nato il tuo primo figlio…): stavi sognando, come tutti noi, prima o poi. Piace a tutti il tuo sogno, tutti sottoscrivono. Ora svegliamoci e proviamo a vivere: come ha suggerito il grande Pavese: è decisamente il nostro mestiere.