Con l’approvazione in terza lettura senza emendamenti da parte della Camera dei Deputati lo scorso giovedì 23 febbraio, il Parlamento ha varato la legge di conversione del decreto milleproroghe 2012 (d.l. n. 216/2011) a seguito di un faticoso iter parlamentare, scandito da numerose proposte di modifica all’originario testo del decreto legge. Vogliamo qui evidenziare le novità introdotte in materia pensionistica concernenti due particolari categorie di lavoratori, per le quali era emersa l’esigenza di mitigare alcuni effetti derivanti dall’ultimo intervento generale in materia pensionistica promosso dall’attuale Governo nell’ambito della cosiddetta manovra “salva-Italia” (art. 24, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, primo comma, l. 22 dicembre 2011, n. 214).
Innanzitutto, deludendo diffuse attese, nessuna novità per i lavoratori addetti a lavorazioni “usuranti”, per i quali restano ferme le nuove norme introdotte dal decreto salva-Italia (artt. 17 e ss., d.l. 201/2011), con l’anticipazione del pensionamento, ma con l’eliminazione dello sconto di tre anni sull’età pensionistica. Invece, la prima delle due categorie interessate è quella dei cosiddetti lavoratori “precoci”, quelli cioè che hanno iniziato a lavorare molto giovani e che per questo sono stati toccati già dalle norme del decreto salva-Italia, che hanno ridisciplinato la cosiddetta pensione di anzianità (basata sull’anzianità contributiva), mutandone anche la denominazione in “pensione anticipata” (da intendere rispetto a quella di vecchiaia, art. 24, comma 3, lett. b), d.l. n. 201/2011, convertito nella l. n. 214/2011). Quella normativa introduceva un meccanismo di penalizzazione da uno a due punti percentuali per ogni anno di anticipo sulla quota di trattamento pensionistico, per il lavoratore che accedesse alla pensione prima dei 62 anni (art. 24, comma 10, secondo e terzo periodo, d.l. n. 201/2011, convertito nella l. n. 214/2011).
Intervenendo sul punto, invece, ora in favore dei lavoratori che maturino entro il 31 dicembre 2017 l’anzianità contributiva minima viene riconosciuta la possibilità di accedere alla pensione “anticipata”, senza incorrere nelle penalizzazioni previste dal decreto salva-Italia, anche se non abbiano compiuto i 62 anni di età (art. 6, comma 2-quater, d.l. n. 216/2011, aggiunto dalla legge di conversione). Il beneficio viene concesso a patto che il periodo minimo di contribuzione (42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, poi incrementato) venga raggiunto attraverso contributi derivanti da prestazione effettiva di lavoro, compresi i contributi figurativi derivanti da periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria. Va rilevato che non è stata accolta la proposta di considerare anche i periodi di maternità facoltativa, di cassa integrazione straordinaria e di riscatto di laurea.
Inoltre, è stata prevista un’ulteriore agevolazione in favore dei lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultano essere in congedo per assistere familiari con disabilità grave, per i quali restano applicabili le previgenti norme, a patto che maturino entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del periodo di congedo il requisito contributivo dei 40 anni previsto dalla previgente normativa per l’accesso al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica (art. 2-septies d.l. n. 216/2011, introdotto dalla legge di conversione che aggiunge il comma e-bis all’art. 24 d.l. n. 201/11, convertito nella l. n. 214/2011).
In ogni caso, il tema più caldo del dibattito parlamentare si è rivelato quello relativo alla sorte pensionistica dei lavoratori cosiddetti “esodati”, ovvero quei lavoratori di aziende in crisi che hanno accettato di lasciare l’azienda pensando di raggiungere la pensione nel giro di pochi mesi, ma che, in base ai nuovi più stringenti requisititi fissati in generale dal legislatore nella manovra di Monti, si ritrovano ora senza lavoro e, in alcuni casi, senza alcun trattamento previdenziale che li accompagni fino alla pensione, la cui decorrenza risulta posticipata rispetto al passato.
Si tratta di soggetti collocati in mobilità, anche lunga, o che godevano di trattamenti analoghi previsti da accordi collettivi, ovvero siano stati ammessi alla prosecuzione volontaria dei contributi in vista del successivo raggiungimento dei requisiti pensionistici minimi per accedere alla pensione, in base ad accordi sindacali. A questi soggetti, nel decreto Monti del novembre 2011 veniva garantita l’applicazione dei più favorevoli requisiti di accesso al pensionamento in precedenza vigenti, a patto che i suddetti accordi sindacali fossero stati stipulati in data antecedente al 4 dicembre 2011 [art. 24, comma 14, lett. a), b) e c), d.l. n. 201/11].
Con riguardo alla suddetta categoria di lavoratori la legge di conversione del d.l. n. 216/2011 ha previsto innanzitutto lo slittamento al 30 giugno 2012 del termine per l’emanazione del decreto con il quale dovranno essere definite le modalità di richiesta di applicazione delle norme previgenti alla riforma pensionistica contenuta nella legge n. 214/2011. Ampliando in ogni caso la platea dei destinatari, la norma introdotta dalla legge di conversione del d.l. 216 ha poi esteso il beneficio della “immunità” dai nuovi requisititi pensionistici – oltre ai lavoratori individuati dal decreto salva-Italia (art. 22, comma 14, d.l. n. 201/11, convertito dalla l. n. 214/2011) – anche ai lavoratori che abbiano risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011, o in base ad accordi collettivi ovvero anche in base ad accordi individuali, a patto che la data di cessazione del rapporto di lavoro risulti da elementi certi e oggettivi (comunicazioni obbligatorie agli ispettorati del lavoro o ad altri soggetti equipollenti) e “il lavoratore risulti in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro un periodo non superiore a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011” (art. 6, comma 2 ter, d.l. n. 216/2011, introdotto dalla legge di conversione).
In merito all’ultimo requisito va considerato che la norma parla di decorrenza del trattamento e non di maturazione del diritto, per cui, siccome vige il sistema delle finestre per avere diritto alla pensione, il periodo di 24 mesi in sostanza risulta più breve, in misura diversa a seconda dei casi. Va inoltre sul punto rimarcata una differenza rispetto a quanto previsto dal decreto salva-Italia in relazione ai lavoratori collocati in mobilità, anche lunga, “sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011” (art. 24, comma 14, lett. a) e b) del d.l. n. 201/2011). In quel caso invero gli effetti con riguardo alla cessazione del rapporto di lavoro possono pertanto anche essere dilazionati nel tempo, nei termini fissati dagli stessi accordi collettivi. Invece, la seconda ipotesi introdotta dalla legge di conversione ha confini temporali certi, dati dalla data del 31 dicembre, entro al quale “il rapporto di lavoro si sia risolto”. E infatti viene previsto un meccanismo di necessaria certificazione di tale data.
Resta da aggiungere che in relazione a tale ultimo caso restano fuori dalla deroga i lavoratori coinvolti in procedure di licenziamento individuale e collettivo avvenuti in assenza di accordi, nonché i lavoratori per i quali è iniziata, ma non si è conclusa, la procedura di licenziamento.