Meno uno. Domani è il gran giorno in cui la Cassazione può sancire la prima condanna definitiva per Silvio Berlusconi, oppure decidere di instradare su altri binari il processo Mediaset: rinviare a settembre per dare più tempo alla difesa, assolvere l’imputato, oppure accogliere anche uno solo degli 88 rilievi tecnici mossi dal collegio difensivo del Cavaliere e di conseguenza rinviare a un nuovo processo d’appello che però finirebbe – con tutta probabilità – sul binario morto della prescrizione.
Berlusconi sta mobilitando la potenza di fuoco mediatica. Ieri «Libero» ha pubblicato la sintesi di una chiacchierata tra l’ex premier e il direttore Maurizio Belpietro. Colloquio poi diventato oggetto di un misterioso tira e molla: smentito da una nota di Palazzo Grazioli, che è la residenza romana del Cavaliere, e tuttavia rilanciato sui social network dai profili di Berlusconi, gestiti non direttamente da Silvio ma da persone del suo staff. La «grana» sembra stia nella frase iniziale delle dichiarazioni attribuite al Cav: se mi condannano rifiuterò sia i domiciliari sia l’affidamento ai servizi sociali, ma andrò in carcere «da innocente».
Berlusconi si riferisce alla condanna a 4 anni di reclusione per evasione fiscale. In realtà 3 anni sono cancellati dall’indulto; e data l’età del condannato e l’entità della pena residua, per lui le porte di San Vittore non si apriranno. Proprio come successe al direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, quando la Cassazione gli confermò i 14 mesi di reclusione per diffamazione.
Ma il Cavaliere si guarda bene dal parlare della «vera» pena, cioè quella accessoria: l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. È la pena «politica» che lo toglierebbe dalla scena parlamentare. Parallelamente alle dichiarazioni (e ai silenzi) dell’ex presidente del Consiglio hanno ritrovato la voce i falchi del Pdl cui da giorni era stata imposta la museruola. Che cosa nasconde questa strategia?
In vista di un’eventuale condanna, Berlusconi alza i toni perché sa bene di avere un alleato formidabile: la lentezza delle procedure burocratico-giudiziarie. L’abbiamo visto proprio con il caso Sallusti: per l’applicazione concreta della pena dovrebbero passare non meno di due mesi tra redazione del dispositivo, trasmissione alla Procura di Milano, i 30 giorni in cui il condannato deve comunicare se preferisce qualche pena alternativa, eccetera. Nemmeno dall’altro lato, cioè sul versante dell’interdizione, l’eventuale conferma della condanna in Cassazione avrebbe un effetto immediato perché spetta alla Giunta delle elezioni di Palazzo Madama decidere se togliere al senatore Berlusconi Silvio lo scranno. E potrebbero passare mesi.
In caso di condanna in Cassazione, il 31 luglio il Cavaliere non andrà né a San Vittore né verrà espulso dalla politica: avrà invece a disposizione un congruo periodo di tempo in cui fare la vittima della giustizia politicizzata (operazione che gli ha sempre fruttato in termini di voti, come conferma l’andamento dei sondaggi più recenti). E soprattutto assisterà alla probabile implosione del Pd, dove cresce l’insofferenza di chi non vorrebbe continuare a governare con un partito il cui leader è – sia pure inizialmente sulla carta, come abbiamo visto – agli arresti e interdetto.
Le lentezze della giustizia, che hanno portato il processo all’orlo della prescrizione, e ora delle procedure giudiziarie, che allontanano il momento in cui la sentenza viene pronunciata da quello in cui viene effettivamente eseguita, non giocano contro Berlusconi. Per questo il Cavaliere ostenta l’atteggiamento responsabile di chi non farà sgambetti al governo Letta: se le larghe intese cadranno, sarà perché non reggerà il Pd.
Tutto questo in caso di condanna. E se invece la Cassazione optasse per un rinvio o addirittura per l’assoluzione, chi lo terrebbe più il settantasettenne di Arcore?