La condanna è definitiva, Silvio Berlusconi è un pregiudicato e nell’arco di un mese e mezzo sarà posto agli arresti domiciliari per scontare 12 mesi di reclusione, residuo dei 4 anni di pena cui l’indulto del 2006 ne sottrae tre. Il rinvio a Milano perché venga ridotta (ma non cancellata) l’interdizione dai pubblici uffici sancita dalla Corte d’appello (cinque anni: più pesante della condanna penale) non si può considerare una «concessione» alla difesa: era una richiesta del procuratore presso la Cassazione. Tanto più che in base alla legge anticorruzione del 2012, se sopravviene una condanna definitiva durante il mandato parlamentare la Camera di appartenenza (in questo caso il Senato) deve pronunciarsi su un’eventuale decadenza indipendentemente dalla pena accessoria. La medesima legge stabilisce che chi abbia condanne superiori a 2 anni (e quella del Cav è a 4) è incandidabile: e ciò supera l’ineleggibilità insita nell’interdizione, che non verrà ricalcolata in tempi rapidi.
Terreo in viso e scosso fino alla commozione, ieri sera Berlusconi ha consegnato a un videomessaggio la sua rabbia per l’«accanimento giudiziario senza uguali» di una parte della magistratura diventata «un soggetto irresponsabile, una variabile incontrollabile». Il Cavaliere, che si dice vittima di «violenza», assicura di volere restare in campo con la riedizione di Forza Italia con la quale chiederà agli italiani di ridargli la maggioranza.
Questo accenno elettorale accentua l’impressione che le urne potrebbero riaprirsi presto. Non c’entra l’accelerazione dell’altro giorno in Parlamento sulla riforma del «Porcellum», alla quale è stato dato carattere di urgenza senza indicare contenuti o linee generali. Ormai la gara è a chi rimane con il cerino in mano e appiccherà il fuoco elettorale. Alla vigilia della sentenza della Cassazione ci si domandava come avrebbe reagito il Pd. Ebbene, i democratici con estrema freddezza hanno fatto sapere che la sentenza va rispettata, eseguita e applicata rapidamente, e che la tenuta del governo dipende da come reagirà il Pdl. Epifani non si è azzardato a spendere una parola a favore dell’esecutivo guidato da Enrico Letta, il quale ormai non sembra più nemmeno l’ex numero 2 del partito.
Il commento del presidente Giorgio Napolitano è una sorta di «lodo», l’unico approdo cui ancorare le residue forze delle larghe intese. Il capo dello stato difende i magistrati ma allo stesso tempo apre a una riforma della giustizia secondo lo schema predisposto dai «saggi», e apprezza esplicitamente «il clima più rispettoso e disteso» garantito da Berlusconi prima della sentenza. «Penso che ciò sia stato positivo per tutti», dice il presidente nella speranza che si ritrovi «serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza».
L’apertura sulla riforma della giustizia appare come uno spazio politico offerto a Berlusconi per non fare precipitare tutto. Il premier Letta ha fatto subito eco al «lodo Napolitano»: «Per il bene del Paese è necessario che il clima di serenità e l’approccio istituzionale facciano prevalere l’interesse dell’Italia sugli interessi di parte», è scritto su una nota di Palazzo Chigi. Bisogna continuare a tenere i nervi saldi: è questo l’appello lanciato al Pdl ma anche al Pd, soprattutto ora che sembra prendere corpo la fiducia in una ripresa economica a fine anno. L’obiettivo resta arrivare all’inizio del 2015 (termine del semestre di presidenza italiana della Ue che comincia il 1° luglio 2014).
Il video di Berlusconi non è un invito alla mobilitazione, non chiede cortei e manifestazioni come chiedevano i falchi del Pdl, ma indica un obiettivo politico ben preciso: rifondare Forza Italia e «chiedere la maggioranza agli italiani», cioè andare al voto anche se non subito. Nella riunione a Palazzo Grazioli immediatamente successiva alla lettura della sentenza, i falchi del Pdl sono rimasti in minoranza. Il governo non cadrà nelle prossime settimane ma nulla sarà più come prima.