Leggiamo con sincera “compassione” (secondo il significato dato Papa Benedetto XVI come sinonimo di solidarietà e di condivisione, animata dalla speranza) la lettera al Corriere della Sera della mamma di un ragazzo coinvolto e poi incarcerato, per il recente pestaggio del ragazzo sedicenne in viale Monza.
«…vorrei anche che ognuno, prima di giudicare, si facesse un esame di coscienza… prima di giudicare, preoccupiamoci di più dei nostri di figli…».
Con la stessa compassione e comprensione ascoltiamo quotidianamente coppie di genitori o madri sole che, parlando con noi insegnanti e formatori, confessano il loro senso di impotenza nei confronti dei figli adolescenti e dei giovani per i quali sembra non esserci più un punto di positività cui appellarsi per riprendere la quotidiana fatica dell’educazione dei figli.
E allora comincia quella che noi chiamiamo la lotta tra poveri, una lotta a scaricare le responsabilità, ad addossarsi le colpe, a rinfacciarsi le evidenti fatiche…
Da parte nostra, ovviamente non siamo esenti da fatiche e fragilità, si riscontra spesso un’analoga sensazione di scarsa efficacia degli strumenti a disposizione: anche quelli che hanno sempre funzionato sembra che non abbiamo più successo.
E tra le nostre fatiche di adulti legittimamente affaticati e scoraggiati, i giovani rimangono con le loro.
Ridotta all’osso ci sembra che nell’urgenza educativa che stiamo vivendo debba svolgere un ruolo centrale il confronto su questioni tipo “come faccio a far gustare vita e il divertimento ai miei figli, ai miei allievi uscendo dagli stereotipi che solo con l’alcool, le canne, il branco, la rissa, il lasciarsi andare, provochino divertimento e tutto il resto sia da “sfigati?”.
Abbiamo bisogno, sia i genitori che gli insegnanti di momenti e luoghi di scambio tra adulti sulle pre-occupazioni nei riguardi dei figli; uno spazio per recuperare e riordinare le emozioni che accompagnano il difficile lavoro educativo, per sgomberare il campo da ciò che ci impedisce di vedere con chiarezza.
Abbiamo bisogno di luoghi in cui confrontarci sui giudizi che esprimiamo, per buona pace di coloro che ci spingono a non giudicare per rispettare la libertà altrui, anche se poi una valutazione è inevitabile e spesso molto più violento e dannoso quello dato inconsapevolmente.
Abbiamo bisogno di persone che ci insegnino a giudicare secondo criteri che portino alla promessa di bene che tutti noi e i nostri ragazzi abbiamo nel cuore.
Ne abbiamo bisogno noi per primi.
E allora per riprendere lo spunto dalla mamma della lettera prima di giudicare, preoccupiamoci di più dei nostri di figli…» aggiungerei… per pre-occuparci dei nostri figli, ritroviamoci a giudicare.
Questi luoghi e queste persone esistono, magari non sono molti, ma l’urgenza comporta un investimento comune a tenerli sempre vivi.