Sarà stato per il caldo ormai pesante, ma l’altra notte ho fatto uno strano sogno: il Professor Monti, dopo l’ennesimo vertice sulla crisi europea, teneva un discorso in tv a reti unificate, un discorso che suonava grosso modo così. “Care concittadine e cari concittadini, sono lieto di comunicarvi che questa volta è stato un incontro effettivo ed efficace, in cui finalmente ci si è detti le cose come stanno. E mi pare giusto che anche voi ne siate messi al corrente, almeno a grandi linee. Devo dire che è stato un trionfo della cara amica Frau Angela Merkel, un meritato trionfo. Finora Angela era stata un po’ il parafulmine delle critiche degli altri paesi, ma finalmente le è stata resa giustizia. Frau Merkel ha ragione, e con lei tutti i tedeschi: ciascun Paese europeo deve cavarsela da solo, così come dice di fare la Germania.
Sono stato tra i primi a congratularmi e a proporre una serie di riflessioni sull’Italia, di cui desidero rendervi partecipi. I tedeschi hanno ragione: perché mai noi italiani dovremmo ricorrere all’Europa, di cui peraltro siamo fondatori, e avere paura dei mercati? Lo so, ci si rimprovera il nostro debito pubblico, grande in assoluto e in percentuale sul Pil. E questo è vero, ma non è una novità: ora siamo al 120% e nel 2007 eravamo attorno al 103%, cioè, in mezzo a una crisi epocale, abbiamo aumentato il rapporto di circa il 17%; nello stesso periodo, la virtuosa Germania lo ha aumentato di circa il 28% e ha superato in valore assoluto il debito italiano. Certo, i tedeschi sono molto più di noi, e quindi il loro debito procapite rimane più basso, ma messe così, le cifre non suonano un po’ diverse da come le vediamo di solito?
Gli amici tedeschi ci spingono a un’altra riflessione: perché diavolo dovremmo investire i nostri soldi in Bund tedeschi, a tasso reale nullo o negativo, invece che nei nostri Btp che ripagano ampiamente dell’inflazione? Perché qualcuno dall’altra parte dell’Oceano spara sullo spread? Hanno ragione gli amici tedeschi: ciascuno si paghi i suoi debiti e noi italiani ricominciamo a ricomperarci il nostro debito, come facevamo nell’Italietta di una volta, prima delle manie di grandezza, quando risparmiavamo come dei matti.
A questo riguardo, ho proposto di non considerare più il semplice rapporto debito pubblico/Pil, ma di includere nel numeratore anche il debito privato. Gli altri hanno arricciato il naso e sono diventati evasivi, forse perché sanno benissimo che il nostro strapazzato Paese in questo modo passerebbe tra i Paesi virtuosi, grosso modo alla pari di Francia e Austria e solo un circa il 15% dietro la Germania. Per inciso, sotto questo profilo i Paesi più virtuosi sono quelli dell’Europa Orientale. E allora, infischiamocene dello spread (non se ne abbia il Professore, ma nel mio sogno parlava in modo poco aulico) e così ci guadagneranno sia lo Stato, sia i sottoscrittori, rimarrebbe tutto in famiglia e decideremmo noi cosa fare dei nostri soldi, non qualcuno a Berlino o a Bruxelles.
Su un altro punto hanno ancora ragione i tedeschi: ciascuno si consumi i suoi di prodotti. Perché noi italiani dovremmo comprare auto tedesche e i tedeschi non le nostre auto? Siamo davvero convinti che le nostre siano peggiori o, da provinciali, pensiamo di essere fighi (scusi ancora, Professore, il linguaggio) andando sulla piazza del paese in Mercedes? Chissà perché allora la Audi si compra la Ducati e la Volkswagen fa da anni il filo all’Alfa Romeo. E chissà perché la Chrysler ha mandato all’aria la fusione con la tedesca Daimler e si è unita alla tanto vituperata Fiat, con il caloroso appoggio, udite, nientepopodimeno che di Obama. Se magari ci mettiamo a comprare, a partire dalle istituzioni pubbliche, più Fiat e meno auto tedesche e francesi, sarà più facile costringere Marchionne a rimanere in Italia, più facile che con scioperi e cause in tribunale.
La stessa cosa vale per altri settori, come per l’agricoltura. Ma come, abbiamo superato nella produzione di kiwi la Nuova Zelanda, che ne ha fatto una specie di frutto nazionale, e poi ci facciamo metter in un angolo dagli allevatori francesi, dai produttori di latte tedeschi e olandesi, importiamo arance da Israele e olio dalla Spagna? Forse è il caso di darci una sveglia e, invece di cercare di imbrogliare Bruxelles sulle quote, andare a rivedere gli accordi, pestando i pugni sul tavolo se occorre. Per quanto mi riguarda, comunque con stile, ovviamente.
Ancora. Giustamente, dal loro punto di vista, gli amici tedeschi hanno disegnato l’euro a somiglianza del loro marco, e il Professor Prodi allora ci stette, desideroso com’era di portarci nel centro d’Europa. Sarà bene continuare a ricordarcelo, perché all’Eurozona non siamo stati ammessi gratis, l’ammissione l’abbiamo pagata con una manovra lacrime e sangue e, nonostante le resistenze dell’allora Governatore della Banca d’Italia Fazio, con un cambio lira/euro drammaticamente punitivo per il nostro potere d’acquisto. Un cambio disastroso per cui stiamo ancora soffrendo. Vale a dire, noi abbiamo già dato e forse è giunto il momento di ridiscutere la questione, prima di parlare di ulteriori espropri della nostra sovranità nazionale.
A questo proposito, cari concittadini, ho chiesto chiarimenti sulla governance di questa Europa che si sta delineando (forse dovevo usare il termine tedesco, e non quello inglese, visto l’andazzo), soprattutto in vista della ventilata Unione Bancaria. Prima di andare avanti, è meglio stabilire che, in base al principio tedesco più volte ricordato, le banche francesi e germaniche devono pagare di tasca propria tutti i buchi derivanti dalle loro operazioni, un po’ strane, sui titoli greci e dai prodotti tossici di cui sono imbottite, e che l’Eba tiene pervicacemente fuori dai suoi conti. E poi…”.
E poi, mi sono svegliato, anzi mi ha svegliato mia moglie, chiedendomi preoccupata perché battessi le mani nel sonno. Per forza, non potevo che applaudire freneticamente il Professore, ma era un sogno. Eppure mi è rimasta la sensazione che Monti volesse aggiungere ancora qualcosa. Forse quello che il suo governo farà nei prossimi giorni, tipo pagare finalmente, senza se e senza ma, i debiti della Pa alle imprese (così, in attesa di diminuire il numeratore, si comincerebbe ad aumentare il denominatore e ridurre il rapporto debito/Pil), abbattere la foresta di leggi che ci avvilisce, ma senza istituire un altro inutile ministero, rendere più efficiente la nostra burocrazia, evitando così alle nostre imprese di espatriare per poter lavorare e, nel tempo, attrarre magari investitori esteri. Molte di queste riforme non costano, se non un po’ di fatica e molta buona volontà, quella che il Professore aveva nel mio sogno.
Credo che a questo punto i grandi vecchi e i giornaloni che considerano noi comuni italiani dei minus habentes bisognosi della tutela dei vari Bruxelles, Berlino, New York, e magari Mosca e Pechino, si metteranno a strillare, per poi tranquillizzarsi: per fortuna è solo il sogno di uno sprovveduto, il Professore è uno di noi, sa come si sta al mondo. E allora, lo sprovveduto invita i compaesani a rispondere come già uno di noi rispose in passato: suonate le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane. A stormo.