Nelle attuali trasformazioni che la scuola sta vivendo, la figura del docente è sottoposta a sollecitazioni di vario genere che ne toccano compiti e funzioni. Oggi, più di ieri, al docente si chiede un impegno che investe direttamente la sua persona, la sua struttura umana e non solo la sua preparazione. Lo capisce bene chi si trova ad insegnare in situazioni di disagio sociale, in scuole dove, per esempio, il tasso degli alunni stranieri è alto. Lo sa bene chi, negli snodi tra i gradi dell’istruzione, propone e condivide con gli alunni la fatica di orientarsi ed apprendere con metodo e con interesse.
Quali sono le risorse di cui il docente e la scuola possono disporre per rispondere alle domande e ai problemi che incontrano?
In primo luogo, l’umanità stessa del docente con la ricchezza del suo desiderio di vivere, conoscere, creare e servire all’utilità comune. A nostro giudizio non si possono separare le funzioni e le competenze del docente dalla sua persona, cioè dalla posizione da lui tenuta di fronte alla realtà nel suo complesso. Per queste ragioni abbiamo sempre affermato che solo l’adulto, che si lascia educare, può a sua volta proporre ad altri un itinerario di conoscenza della realtà. Chi insegna è innanzitutto una persona che si lascia educare. È un professionista che, impegnato in prima persona, accompagna i più giovani in un cammino di introduzione alla realtà attraverso l’insegnamento-apprendimento della disciplina di studio.
È questo presupposto che rende l’insegnante capace di abbracciare tutti i problemi che si presentano nella scuola: dal rapporto con gli alunni all’uso delle quote di autonomia e di flessibilità consentite dai regolamenti, dall’elaborazione didattica alla collaborazione con le famiglie, dalla scelta ed uso del manuale alla pratica quotidiana della valutazione. È questo presupposto che rende la scuola un ambiente che si ricostruisce e si offre in funzione del cammino della conoscenza di ogni alunno attraverso l’arte dell’educare istruendo.
Purtroppo la scuola italiana risente ancora oggi delle storture che ne hanno caratterizzato l’origine: l’impronta centralistica, la censura malcelata di una reale libertà di educazione, la scarsa considerazione della funzione pubblica e del lavoro dei docenti; la scarsità di investimenti economici oggi sempre più assorbiti dagli stipendi a loro volta non esaltanti; il precariato che è diventato storico e spesso sembra essere difeso in nome della sua eterna permanenza.
È vero che non è tutto negativo ciò che si muove nel panorama della politica e gestione scolastica: ritorno del maestro prevalente nella scuola primaria; la delineazione di percorsi più essenziali riconoscibili, compresa una riforma delle secondarie di secondo grado; il tentativo di attribuire all’istruzione e alla formazione professionale una dignità particolare; l’autonomia, per quanto non ancora completa; l’ottimizzazione delle risorse; la previsione di percorsi di laurea e di abilitazione nuovi con una presenza significativa del tirocinio a scuola.
Sembra tuttavia che talvolta manchi un disegno generale, una spinta ideale, un soggetto capace di farsi carico di nuove responsabilità. Significativamente nella sua prolusione inaugurale della Convention di Pesaro Max Bruschi parlava di un puzzle in “bianco nero” che costituisce il mondo della scuola.
Chi e come comporrà questo puzzle? Il soggetto, di cui ha bisogno la scuola, non può essere prodotto artificialmente come riflesso di certe scelte politiche, o burocratiche ed amministrative, oppure di certi orientamenti formativi. Da strategie riformistiche e addestrative non nascono docenti capaci di entrare con decisione ed energia nella scuola, pronti ad assumersi una responsabilità di fronte a tutto quello che accade: le materie da insegnare, i colleghi, la riforma, la dispersione scolastica, l’emergenza educativa … C’è bisogno di altro.
C’è bisogno di luoghi umani che si pensino, si strutturino e si propongano come compagnia in azione per la persona e per la scuola. Per la persona, perché, ponendosi come un corpo intermedio tra scuola e società, fanno circolare esperienze, giudizi e strumenti. Per la scuola perché esprimono una soggettività, un ambito di cultura professionale e di continuo paragone, grazie al quale è possibile rispondere alla domanda di educazione e di istruzione dei giovani.
Le associazioni professionali degli insegnanti possono e devono svolgere questo compito. Senza il contributo di reali ed operative aggregazioni è difficile oggi pensare ai cambiamenti necessari alla scuola, per esempio: alla qualificazione dei docenti in servizio, alla formazione dei nuovi insegnanti, all’adeguamento delle riforme alla specificità delle singole realtà scolastiche.
Il numero 25 dei Quaderni di Libertà di educazione documenta come questo sia già in atto. Lo fa raccontando la Convention di Pesaro 2010, organizzata da Diesse, e nello stesso tempo presentando contributi ed esperienze su “l’arte di fare scuola” di docenti professionisti.