Cinquant’anni fa Topolino in persona, in una celebre copertina del settimanale Epoca, piangeva affranto la morte del suo caro papà. Infatti, era appena scomparso a Burbank (contea di Los Angeles, California), all’età di sessantacinque anni, Walter Elias Disney Junior, meglio noto al mondo come Walt Disney, pioniere del cinema d’animazione e uomo di grande capacità imprenditoriale nel campo dello spettacolo d’intrattenimento, non solo per bambini e ragazzi.
Disney nasce a Chicago da padre di discendenza irlandese e madre di origini tedesche. Quarto di cinque figli, negli anni precedenti la Prima guerra mondiale segue la famiglia nei suoi trasferimenti, prima in una fattoria del Missouri e poi a Kansas City. In questo periodo lavora duro, sia nell’impresa familiare di distribuzione di giornali (col fratello Roy) che come venditore di dolciumi sui treni della Missouri Pacific Railroad. Durante la Grande Guerra presta sevizio come autista volontario di ambulanze in Francia, da dove rientra negli Usa durante il 1919.
La prima occupazione la trova all’agenzia pubblicitaria Pressman-Rubin Commercial Art Studio; è qui che avviene l’incontro fondamentale della sua carriera, quello con il disegnatore di origine tedesca Ubbe Ert Iwwerks, in arte più semplicemente Ub Iwerks. I due, coetanei, talentuosi e di grandi ambizioni, fondano nel 1920 una società di illustrazioni pubblicitarie animate. La società trova presto lavoro, ma ancora tramite un’animazione rudimentale nella tecnica e nei risultati di stile, poco soddisfacente soprattutto agli occhi visionari dello stesso Disney, il quale inizia da qui quel processo di esperimenti che lo porterà a essere il riferimento mondiale nel campo del disegno animato.
Quando le novità tecniche cominciano a funzionare (compare la live action), per la società Iwerks-Disney è tempo di abbandonare la pubblicità e di approdare all’animazione narrativa. Negli anni dal 1922 al 1927, con forme societarie diverse e collaborazioni varie, Disney e Iwerks danno vita alla serie delle Alice Comedies (un misto di animazione e attori dal vivo ispirata alle storie di Lewis Carroll) e poi al fortunato Oswald the Luchy Rabbit, distribuito dalla Universal Pictures. Quando, per motivi di diritti e maggior quota di guadagni, quest’ultima sottrae a Disney il controllo del personaggio Oswald, il nostro lavora segretamente, con pochi fedelissimi, a un personaggio tutto nuovo, questa volta interamente suo. Nasce così il fortunatissimo Mickey Mouse, frutto della matita ispirata di Ub Iwerks e della fantasia, per la caratterizzazione, di Walt Disney.
Il personaggio debutta in due corti del 1927, L’Aereo Impazzito e Topolino Gaucho (titoli italiani), che hanno però il difetto di essere muti. L’ulteriore passo innovativo, clamoroso, è allora quello del sonoro sincronizzato: la proiezione del 18 novembre 1928 di Steamboat Willie, primo corto animato con sonoro Disney, decreta così il definitivo grande successo di Mickey Mouse, oltre a vedere la nascita di altri personaggi epocali, come Minnie Mouse e Bootleg Pete (Gambadilegno in italiano).
A questo punto Disney, uomo di innata fantasia ma di concrete aspirazioni, ambizioso e confortato da grande fiducia nel proprio talento, comincia a pensare a un lungometraggio interamente animato, che racconti una storia di ampio respiro e di forte impatto emotivo. Così, dopo un lavoro meticoloso, non privo di rischi commerciali, durato tre anni, la “pazzia di Disney” – come il progetto veniva definito dai concorrenti – vede la luce nel 1937. Si tratta di Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio interamente animato della storia del cinema, rieditato numerose volte e diventato un cult del genere.
Questo film, libero adattamento della fiaba dei fratelli Grimm, oltre a essere il primo della lunga serie dei lunghi della Walt Disney Productions (la società nata nel 1928 in cui sono confluite tutte le iniziative precedenti), compendia ben dispiegati tutti i topoi dell’estetica e della poetica disneyana: la simpatia con cui vengono ritratti i personaggi non umani, la verosimiglianza dello spazio e del tempo narrativi, il trionfo della morale come soluzione propria della natura degli eventi, la magia delle piccole cose che trasforma il quotidiano nei colori vivaci della fantasia. Ma il vero colpo di genio sta nella struttura del racconto: i lunghi di Disney contaminano con grande abilità le due forme tradizionali, di matrice alta e popolare allo stesso tempo, della fiaba e della favola; traspongono cioè in disegno animato le principali fiabe della letteratura occidentale immettendo in esse alcuni elementi tipici della favola.
Della fiaba si mantiene la struttura di massima e gli elementi del magico e del fantastico, nonché il velato sottotesto di carattere formativo e morale, mentre si immettono su di essa (assenti nella tradizione) gli animali antropomorfi tipici della favola, della quale però, furbescamente, si evita di trasporre il troppo esplicito valore allegorico. La formula è vincente, piace al pubblico di grandi e piccoli di tutto il mondo, almeno quello occidentale.
Dopo decenni di ininterrotti successi, la scomparsa di Disney ha lasciato un’eredità immensa, soprattutto nell’impatto delle sue caratterizzazioni sull’immaginario collettivo e nella quantità (e qualità) dei prodotti culturali derivati dallo storico core business delle sue attività, che era, come ancora oggi, quello del cinema d’animazione. Fumetti di tutti i suoi personaggi sono stati prodotti un po’ ovunque nel mondo, sia in forma di striscia che di almanacco con tavole a tutta pagina. In Italia il settimanale Topolino è edito fin dagli anni Trenta. Il merchandising di oggetti e di abbigliamento con i personaggi Disney è talmente vasto e antico da far pensare che tale pratica commerciale l’abbia inventata lui di persona. Disneyland è stato il primo parco a tema con giochi e intrattenimenti vari per famiglie, capostipite di una miriade di imitazioni.
Walt Disney è stato anche il regista e produttore cinematografico più premiato, di gran lunga, nella storia degli Oscar (22 per le opere e 4 onorari), fatto che dimostra, tra l’altro, come per tanto tempo non abbia avuto rivali nel campo specifico del cinema d’animazione. Allora, pensando soprattutto alla magia dei suoi personaggi (chi non ne ha uno tra i suoi preferiti dei cartoni animati?) facciamo oggi nostra la dedica dell’allora Gornatore della California Ronald Reagan, che in quel 15 dicembre del 1966 dichiarò: “Da oggi il mondo è più povero”.