Detto fatto, la previsione si è rivelata fondata. Il governo spagnolo ieri è riuscito a collocare solo 2,4 dei 3 miliardi di euro (l’ammontare originale era addirittura di 4 miliardi) di titoli di Stato messi all’asta, pagando rendimenti sempre più alti: il decennale pagava il 5,446%, mentre l’obbligazione a 15 anni è salita al 5,932%, circa il 20% in più rispetto alle aste precedenti.
«Il costo per finanziarsi della Spagna è salito in maniera significativa, un qualcosa che riflette la percezione di deterioramento della qualità del credito spagnolo e questo non è un qualcosa di buono per le loro obbligazioni», commentava ieri un analista di Unicredit. «Quando si guarda al quadro complessivo e si considera il piccolo ammontare venduto, con bassa bid-to-cover e alti rendimenti, appare chiaro che i mercati periferici rimangono sotto pressione e in disperato bisogno di supporto dalla politica», conferma Peter Chatwell, analista sui tassi presso Credit Agricole a Londra, banca che non a caso ieri ha disertato l’asta spagnola considerandola troppo pericolosa.
Nemmeno a dirlo, dopo l’asta i bond decennali spagnoli sono calati mandando i rendimenti molto vicini ai livelli massimi da due settimane: immediato l’effetto sull’indice Ibex della Borsa madrilena e sulle principali piazze europee che hanno bruciato i già magri guadagni del mattino. Insomma, la Spagna è ufficialmente nei guai e presto potrebbe toccare a noi e al Belgio subire la pressione al contagio dei mercati, sempre che il vertice europeo in corso ancora oggi a Bruxelles non decida di fare l’unica cosa sensata: ovvero, comprare bonds spagnoli e italiani per calmare la speculazione e abbassare i rendimenti, puntellando le fondamenta un po’ traballanti dei periferici troppo grossi per essere salvati.
Nei fatti, è più che fattibile: i fondi per salvare il Portogallo, detonatore finale della crisi spagnola vista l’esposizione iberica verso gli istituti lusitani, sono già contemplati nella facility utilizzata per Grecia e Irlanda e quindi l’extra-budget che qualcuno vorrebbe utilizzato per ampliare il fondo salva-Stati potrebbe essere utilizzato una tantum per acquistare obbligazioni di Roma e Madrid. Semplice ed efficace, quindi fuori dalla portata delle raffinate menti europee. Vedremo.
Ma come vi ho detto la scorsa settimana, tratteggiando gli spettri di crisi che incombono su Usa e Cina, è il quadro mondiale da tenere sott’occhio, non soltanto il nostro guaio provinciale col debito (visto che gli Stati Uniti stanno molto ma molto peggio di noi). E cosa sta accadendo a New York? Si stanno creando le condizioni per una bolla che da qui a tre anni potrebbe trasformare la crisi post-Lehman in una bazzecola della storia: la next big thing per chi investe, infatti, sono i junk bonds ad alto rendimento, ovvero titoli giudicati spazzatura per la loro alta pericolosità ma che pagano yields (rendimenti) formalmente alti, ma soprattutto offrono profitti stellari.
Insomma, si gioca con la dinamite. Parliamo, solo in questo periodo, di 300 miliardi di dollari di debito attraverso nuove emissioni collocate da aziende il cui rating è sotto il grado di investimento. Ma siccome gli americani ci tengono alle forme, hanno immediatamente ribattezzato queste potenziali bombe atomiche in “high-yield bonds” e mandato in soffitta la sgradevole e appealess definizione di “junk bonds”: detto fatto, sono l’investimento più caldo del 2010, capaci di offrire ritorni fino al 15%.
Soltanto l’oro ha conosciuto una performance sul prezzo migliore e la gente si lancia con enormi somme di denaro in questo mercato che altro non è che un enorme schema Ponzi, lo stesso utilizzato da Bernard Madoff. Ma anche in Europa questa pratica è diffusa, visto che Credit Suisse ha reso noto come le aziende europee abbiano venduto 51 miliardi di junk bonds denominati in tutte le valute, su del 75% rispetto al record precedente datato 2006: i banchieri, inoltre, si attendono un ulteriore aumento dei volumi per il prossimo anno.
Ora, la domanda da porsi non è se per questa gente non sia obbligatorio il ricovero in un centro di salute mentale, ma quanto durerà la festa del junk e a che prezzo. Per Martin Fridson di Bnp Paribas, «molti investitori si trovano di fronte a un dilemma. Non è un tipo di mercato in cui vorresti entrare per un grosso guadagno ciclico a questo punto». Prima di tutto, occorre chiedersi come reagirebbe questo tipo di mercato a un aumento dei tassi d’interesse: avrà ancora appeal? Nelle scorse settimane, infatti, le prospettive di una forte crescita economica, spinte anche dal piano di tagli delle tasse in Usa, hanno fatto alzare le aspettative per i tassi d’interesse a lungo termine. I rendimenti degli Us Treasury sono saliti e il prezzo del debito del Tesoro sceso, anche se gli alti tassi pagati sui junk bonds rendono il valore del debito meno sensibile a questo aumento dei tassi.
Per giudicare questo mercato, chiave per il finanziamento di una moltitudine di aziende, gli investitori guardano sì ai rendimenti, ma anche a quanto i profitti siano alti rispetto a bond meno rischiosi. Paradossalmente, in termini di rendimenti puri, i junk bonds stanno offrendo alcuni dei profitti più bassi di sempre. Stando al benchmark dell’indice Bank of America Merrill Lynch, il rendimento sui bond high-yields americani è attorno al 7,9%, contro un livello minimo dei rendimenti del 7,58% toccato nel febbraio 2007, quando le banche decisero di offrire cifre di denaro praticamente senza limiti verso compagnie a rischio.
In termine di premio del rischio, il cosiddetto spread, c’è una differenza sostanziale rispetto agli anni del boom. Uno degli spread più osservati dell’indice Bank of America Merrill Lynch è trattato attorno a 568 punti base su tassi benchmark senza rischio: nel 2007 i ribassi erano attorno ai 241 punti base, quindi per Martin Fridson, «gli spreads offrono un fair value». Proprio per le enormi operazioni di rifinanziamento completate nel 2009 e quest’anno, l’outlook sul credito per i junk bonds è visto come solido e i tassi di default sono ai minimi storici.
D’altronde, per JP Morgan la stima per i bond ad alto rendimento e le maturazioni dei prestiti che andranno a chiusura nei prossimi due anni ammonta a 180 miliardi di euro, segnale che offre una chiara via d’uscita sia per chi colloca che per chi investe: ecco spiegato l’artificiale e solo teorico outlook benigno di cui gode il settore. Ma, perché c’è sempre un ma, quanto durerà l’appetito a fronte dell’incertezza economica? Per Societe Generale, «nel 2011 l’ambiente resterà di supporto per il settore junk bond. Bassi livelli di crescita economica e la continuazione di politiche centrali sostanzialmente di accomodamento assicureranno che la ricerca di assets ad alto rendimento aiutino il rifinanziamento del settore high-yield verso il muro di maturazioni obbligazionarie previsto tra il 2012 e il 2015.
(Grafico 1 – Spread dei bond e prestiti high-yield espresso in punti base. Grafico 2 – Maturazioni dei bond e prestiti high-yield americani. Grafico 3 – Tassi di default negli Usa)
Insomma, si conta di far capo alle maturazioni future attraverso la favola dell’alto rendimento odierno: esattamente uno schema Ponzi, come anticipavo, ovvero pagare alti interessi promessi ai primi investitori con il denaro di quelli giunti dopo. Così, fino al cortocircuito e alla bancarotta. Rischio serio, visto che nel 2011 entreranno nel gioco anche aziende legate a fondi di private equity, dopo il boom di rifinanziamento corporate di quest’anno.
Cosa potrebbe succedere? Primo, gli investitori decidono di blindare i guadagni di questo rally biennale e buttarsi di nuovo sull’azionario drenando liquidità e facendo crollare gli inflows: la vecchia scelta tra valore tattico o strategico del denaro. Secondo, un aumento marcato dei costi per prendere a prestito denaro come reazione a uno shock economico. Di che tipo? Per Steve Miller, direttore della S&P LCD, che traccia la finanza basata sulla leva, la lista è questa: un evento geopolitico, un default sovrano in Europa, un grosso default di una municipalità statunitense, un picco del prezzo del petrolio, una guerra commerciale o una crisi monetaria.
Tutti eventi più che probabili nel quadro globale attuale, alcuni già in atto: a New York si gioca alla roulette russa e anche l’Europa sembra intenzionata a unirsi al rito come nel film “Il cacciatore”. Complimenti, la crisi non ci ha davvero insegnato nulla.