È sempre più difficile pensare, dopo le dichiarazioni di ieri sera di Matteo Renzi, che il Pd voglia veramente evitare di andare al voto in tempi brevi, naturalmente avendo eliminato dal Parlamento Silvio Berlusconi. “Li asfaltiamo”, sono state le parole del sindaco di Firenze. Un’espressione che lascia poco alle interpretazioni. Renzi è sicuro del fatto suo e spinge sull’acceleratore, trascinandosi dietro una base democratica che non vede l’ora di togliere di mezzo il Cavaliere.
Nel pomeriggio di ieri Renato Schifani, ospite di Lucia Annunziata, aveva puntato il dito contro il Pd, e Renzi non aveva ancora parlato. “Perché questo atteggiamento nei confronti di Berlusconi?”, è stata la domanda (retorica) dell’ex presidente del Senato. Risposta: “È evidente che si voglia arrivare alla rottura. Il Pd vuole andare a votare e vuole la crisi di governo. Sono pessimista, e mi auguro che ciò non avvenga perché mi interessa la stabilità del governo e del Paese”.
Il pessimismo di Schifani, uomo prudente, la dice lunga sul clima che regna in Parlamento in vista del voto di mercoledì nella Giunta delle elezioni del Senato. Il destino di Berlusconi sembra segnato: fuori dalle Camere oggi, senza la possibilità di ritornarvi domani, e niente onore delle armi. La domanda di grazia, secondo Schifani, è un fatto privato, una cosa che deciderà Berlusconi all’interno della cerchia ristretta degli affetti familiari, non un fatto politico. Altra ammissione importante di Schifani è sul futuro del Cavaliere: “È chiaro che Silvio Berlusconi non potrà tornare in Parlamento”. Tuttavia, “questo non significa che non possa tornare a fare politica”.
Il Pdl è sempre più isolato. Le poche sponde tra i moderati e gli ex alleati stanno venendo meno una alla volta. I centristi sono sempre più orientati sul “pollice verso”. Casini si unisce al coro scomposto di chi chiede il voto palese in aula al Senato: una forzatura del regolamento, che tuttavia viene fatta passare come necessità di trasparenza. Anche la Lega si oppone al voto segreto dell’assemblea. Il redivivo Mario Monti chiede addirittura un “patto di legislatura” alle forze che sostengono il governo come condizione per mantenere l’appoggio a Enrico Letta.
Dunque, né gli ex alleati del Carroccio né Scelta civica, formata in buona parte da ex pidiellini, sono disposti a fare sconti al Cavaliere. A questo si aggiunge l’offensiva tambureggiante di Matteo Renzi che vuole dare corpo agli umori più giustizialisti del partito. L’autunno scorso, nella campagna per le primarie del Pd, Renzi guardava piuttosto al mondo “liberal”. Nel frastagliato mondo della sinistra italiana, il Rottamatore sembrava sensibile più al fronte riformista che a quello massimalista. Parlava di riforme del lavoro in senso laburista; lanciava tre parole chiave (Europa, futuro, merito) ben lontane dal classico Pantheon della sinistra.
Soprattutto, Renzi si rivolgeva agli elettori delusi del centrodestra in cerca di una nuova patria. “Vengo a prendervi, voglio stanarvi”, disse aprendo il giro d’Italia in camper. Si proponeva come possibile approdo dei moderati, dei liberali, dei riformisti. E ora, dopo nemmeno un anno, eccolo sulle barricate del giustizialismo, all’attacco contro Berlusconi e il suo elettorato: “Li asfaltiamo”.
Il cambio di strategia è netto. Ma anche gli obiettivi sono cambiati. Lo scorso ottobre Renzi voleva rottamare il Pd utilizzando i voti del Pdl; adesso vuole rottamare il Pdl credendo di avere già in tasca la leadership del Pd. La prima operazione non gli è riuscita; per la seconda si sta attrezzando a incassarne il dividendo. Segno che − facendo decadere Berlusconi e quindi Letta − la parte crescente del Pd che sostiene Renzi non cerca maggioranze alternative ma elezioni il prima possibile.