Normalmente i mercati salgono agli onori della cronaca quando le giornate di Borsa lasciano il segno con rialzi o cali bruschi, magari corredati da performance singole particolarmente emozionanti; è quindi più che comprensibile che la chiusura di lunedì, un assolutamente anonimo -0,3%, sia passata inosservata come una qualsiasi giornata di borsa di un qualsiasi periodo “normale” dei mercati. Peccato che domenica fosse saltato l’accordo tra Grecia e creditori necessario per il salvataggio dello stato ellenico. Una reazione così tiepida, oltre tutto su mercati che da inizio anno hanno messo a segno un incremento del 10% (come quello italiano), è sinceramente singolare. Sarebbe veramente una beffa se, dopo tutto quello che è successo, scoprissimo che il mondo stava cambiando, ma non ce ne siamo accorti solo perchè il mercato non ha fatto i soliti exploit.
Tra tutti i possibili commenti alla stranezza di lunedì valga per tutti un articolo comparso ieri sul Financial Times che faceva notare come con notizie del tutto simili a novembre il Dax avesse perso il 6% e le banche europee quasi il 9%. Due possibili spiegazioni: o il mercato non crede in una conclusione “cruenta” del caso greco e scommette che alla fine si arriverà a un accordo, oppure ha ormai dato per scontato l’uscita della Grecia dall’area euro e non ne è nemmeno particolarmente preoccupato. In tutto questo non è secondario che il mercato sia ormai da mesi abituato a maneggiare notizie ed eventi potenzialmente esplosivi e nonostante questo, anche se malconcio, sia ancora vivo e vegeto.
Il fatto, in ogni caso, desta più di una curiosità e qualche domanda legittima. Non solo il mercato non ha reagito, ma lo spread Btp-Bund è migliorato ancora, di circa 10/15 punti base (siamo a 365), l’euro si è rafforzato sul dollaro e solo lo spread tra titoli di stato spagnoli e tedeschi (che comunque era migliorato significativamente) ha manifestato qualche segnale di inquietudine peggiorando lunedì di circa 30 punti. Sul mercato italiano invece spiccano le performance da inizio anno delle banche, mentre a livello europeo, sempre da inizio anno, National bank of Greece e Bank of Ireland fanno registrare performance superiori al 70%.
È meglio ripetere fino alla noia che i tempi non sono “normali”, che ipotizzare la rottura dell’area euro o il default di alcuni suoi membri chiave porta a conclusioni diametralmente opposte a quelle cui si arriva se si teorizza una progressiva, e magari più veloce del previsto, normalizzazione di spread e mercati. Le discussioni in altre parole non vertono sul fatto che il Pil italiano possa salire dello 0,5% o dello 0,7%; un mese fa l’Europa era morta e sepolta, oggi tutto si avvia, naturalmente, al finale felice dove lo spread scende, i mercati salgono e alla fine l’economia riparte. Il corollario è che nel secondo caso si torna a comperare l’Italia, Btp banche e imprese incluse; tanto è vero che ieri sulla notizia dell’eurogruppo convocato per giovedì e su nuove speranze che il governo greco possa accettare ulteriori misure la borsa di Milano è passata in meno di 4 ore dal -1% al +0,6%.
Tornando al caso greco, le ipotesi evidentemente sono due; la Grecia accetta le nuove misure e rimane nell’euro almeno per i prossimi mesi oppure esce dalla moneta unica una volta per tutte. Il secondo scenario ha due sotto-opzioni; il primo è l’uscita indolore, dove il problema rimane circoscritto alla Grecia, il secondo è una rottura disordinata che scatena la caccia allo Stato più debole rimasto nell’euro. Il fatto singolare è che il mercato oggi sta scommettendo su una normalizzazione del principale mercato periferico d’Europa: l’Italia. L’andamento dello spread, il rialzo delle banche italiane, il rafforzamento dell’euro dicono questo.
Che questo sia un colossale abbaglio o un colpo di genio è un altro discorso. Rovesciando il ragionamento è il caso di chiedersi cosa possa smentire questa scommessa. I mercati non stanno scommettendo su una “rottura disordinata” dell’area euro e su default a catena dei paesi periferici; o quanto meno scommettono sul fatto che in qualche modo l’Italia ne rimanga fuori.
Non è facile essere ottimisti sulla permanenza della Grecia nell’euro, perchè con la disoccupazione al 20% e una recessione che fa paura ad Atene potrebbero alla fine legittimamente chiedersi se convenga davvero rimanere nella moneta unica. Inutile poi specificare che gli effetti macroeconomici di un default dell’Italia non sono neanche lontamente paragonabili a quelli di un default greco; probabilmente nessuno si augura davvero un default dell’Italia, i cui effetti arriverebbero forti anche dall’altra parte dell’Oceano. Se questo, per quanto schematico, è lo scenario attuale dei mercati si deve prestare attenzione sia alla conclusione delle trattative tra Grecia, Europa e creditori, sia, in caso di insuccesso, a quello che accadrà immediatamente dopo per capire se i mercati hanno sbagliato oppure no a fare questa timida ed “embrionale” scommessa sull’Italia.
Scambiare due giorni di performance normali per la fine della storia è in conclusione decisamente inopportuno.