Durante la recente visita in Italia, il presidente serbo Tomislav Nikolic ha dichiarato che il suo paese non accetterà mai l’indipendenza del Kosovo e, se l’Ue porrà questa condizione per l’adesione, la Serbia rimarrà fuori. Dal canto suo, Napolitano ha affermato che l’Italia non è tra i Paesi che pone la questione del Kosovo come pregiudiziale ai colloqui per l’adesione serba all’Ue.
Credo che la posizione di Napolitano sia del tutto condivisibile, anche se fosse solo dettata dalla necessità di difendere i nostri investimenti in Serbia, ciò che fanno peraltro tutti gli altri stati e i loro rappresentanti istituzionali. Anche perché lascia perplessi l’atteggiamento della Commissione europea più favorevole al Kosovo, in una situazione estremamente complicata che richiederebbe maggiore prudenza.
I serbi vengono accusati di essere nazionalisti, cosa che oggettivamente sono, ma non sono certamente gli unici nella regione. Non si può far finta di ignorare che la penisola balcanica è un mosaico intricatissimo di etnie e religioni (non a caso i termini comuni di balcanizzazione e, in cucina, di “macedonia”), verso il quale gli stati europei si sono sempre comportati in modo ottusamente miope. Da un lato, la posizione della Serbia ha un suo fondamento, visto che storicamente il Kosovo ne fa parte. D’altro canto, in base al principio di autodeterminazione, i kosovari di etnia albanese hanno diritto alla propria indipendenza.
Se si riconosce loro questo diritto, però, lo si deve riconoscere a tutti e non lo si può negare, come si accenna nell’intervista ad Azra Nuhefendic su IlSussidiario.net, ai kosovari di etnia serba, né a tutte le altre minoranze della zona: gli albanesi di Serbia citati nella suddetta intervista, gli albanesi e i serbi della Macedonia e si dovrebbe cancellare la Bosnia Erzegovina come entità indipendente lasciando a serbi di Bosnia e ai croati di Erzegovina di riunirsi a Serbia e Croazia, e ai musulmani bosniaci di decidere la propria sorte. Operazione difficile, perché, nonostante le tragiche pulizie etniche attuate in quelle regioni, le popolazioni sono tuttora mescolate tra loro.
L’Ue farebbe quindi bene a procedere con molta cautela e a operare per un aumento della convivenza delle varie etnie nella zona, non creare ulteriori motivi di scontro per allargare le propria area gestionale. Sembra anche utopico pensare che l’entrata nella Comunità europea possa attenuare i conflitti, tanto più se si considerano quelli già esistenti all’interno degli Stati membri.
Un ulteriore problema è il fatto che il Kosovo non è stato riconosciuto da cinque Paesi dell’Unione: Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia. La posizione della Spagna potrebbe essere determinata dalle spinte indipendentiste che si ritrova in casa, baschi e catalani, forse Romania e Slovacchia affiancano la Serbia per le passate lotte contro i turchi, mentre più ovvie le posizioni della Grecia, che ha controversie di vario tipo con i paesi vicini, e di Cipro, a causa dell’occupazione turca di una parte dell’isola.
La Turchia è, non a caso, l’altro fronte aperto sulle nuove adesioni, che crea parecchie perplessità all’interno della Ue. L’importanza strategica ed economica della Turchia è innegabile, ma sono enormi i problemi posti dall’adesione di questo Paese, anche a prescindere dalla scarsa aderenza interna ai principi di libertà religiosa e non solo. Oltre la citata questione cipriota, la guerra civile in Siria ha riportato alla ribalta il grave problema curdo, in una dimensione che rischia di trascendere i pur seri aspetti della repressione della minoranza interna in Turchia, allargandosi a tutta la consistente diaspora curda.
Con i suoi circa 70 milioni di abitanti, la Turchia diverrebbe il secondo stato della Ue per popolazione e l’unico totalmente musulmano. L’attuale politica del governo islamico sembra diretta a svolgere un ruolo di potenza regionale, rivolta ai paesi islamici già parte dell’Impero ottomano e, sull’altro versante ai vari stati di etnia turca dell’Asia centrale.
Il rifiuto del governo turco a riconoscere il genocidio armeno determina tensioni con la vicina Armenia, a sua volta in conflitto con l’Azerbaijan, uno appunto degli stati turchi della regione, per la questione del Nagorno-Karabach, enclave azera popolata da armeni al centro di una guerra negli anni ’90 e tuttora occupata dall’esercito armeno. Anche qui l’Europa si troverebbe di fronte a un ginepraio e a diretto contatto con i contrastanti interessi russi nella zona.
La questione turca pone anche un problema di fondo, cioè cosa si intende per Europa. Per molti versi, non è infatti immediato definire la Turchia un paese europeo, né geograficamente, il 97% del suo territorio e il 90% della popolazione sono in Asia, né dal punto di vista etnico, religioso e culturale. Sotto questi profili, la Russia è decisamente più europea e, inoltre, ha il 25% del territorio e il 75% della popolazione in Europa.
C’è da chiedersi perché, prima di impegolarsi in discutibili allargamenti ad Est, la Commissione non cerchi di portare nell’Unione due stati indiscutibilmente europei: Norvegia e Svizzera. Probabilmente dà per scontato che norvegesi e svizzeri confermerebbero i precedenti referendum negativi.