Apprendere dagli errori del passato
Il sottosviluppo del trasporto aereo italiano, sia passeggeri che cargo, è conseguenza delle cattive scelte compiute in passato, le più gravi delle quali hanno riguardato da un lato la gestione di Alitalia, principalmente nel periodo successivo alla liberalizzazione europea, dall’altro lato l’erronea pianificazione pubblica che ha portato forzosamente l’hub di Alitalia da Fiumicino a Malpensa.
Gli errori compiuti nell’ultimo decennio della vecchia Alitalia dai vertici dell’azienda, non compresi dall’azionista Tesoro, sono molteplici ma tutti riconducibili alla credenza di poter gestire le aziende pubbliche a prescindere dalle regole e dai vincoli del mercato, che divengono invece stringenti grazie ai processi di liberalizzazione.
Alitalia è stata gestita nel decennio successivo al completamento della liberalizzazione europea come se fosse un’azienda ancora monopolistica, alla stregua delle poste o delle ferrovie, e le relazioni sindacali sono state proseguite dopo di essa come se non fosse mai avvenuta.
Poche cifre sono sufficienti per valutare i cambiamenti che hanno interessato la compagnia e il mercato dalla metà degli anni Novanta ad oggi: nel 1995, alla vigilia della completa liberalizzazione, Alitalia possedeva, con circa 150 velivoli, tre quarti della flotta aerea commerciale italiana, corrispondente a oltre l’85% dei posti disponibili, e deteneva coi suoi 21 milioni di passeggeri annui poco più del 50% del mercato, valutato in relazione a tutti i servizi di linea. Sul segmento domestico la quota era tuttavia ancora prossima all’80% (oltre 11 milioni di passeggeri annui trasportati da Alitalia su 14 complessivi), mentre sul segmento internazionale era invece di poco inferiore al 40%.
Nel decennio successivo alla liberalizzazione il mercato italiano del trasporto aereo ha accentuato la sua crescita, passando da 44 milioni di passeggeri annui nel 1995 a 88 milioni nel 2005 e a 106 nel 2007. In dodici anni l’aumento complessivo ha sfiorato il 150%. A fronte di questa dinamica della domanda, che è avvenuta nonostante le crisi post 11 settembre 2001 e SARS cinese, Alitalia non è stata in grado di aumentare in misura equivalente la sua offerta e di difendere in tal modo le quote di mercato detenute.
Per mantenere la posizione sul mercato che deteneva nel 1995 Alitalia avrebbe dovuto disporre nel 2007 di più di 300 velivoli e di quasi il doppio dei piloti. Questo non si è tuttavia verificato a causa della proprietà pubblica dell’azienda e dell’impossibilità, per condivisibili vincoli comunitari, a ricapitalizzarla a piacere con soldi pubblici in mercato ampiamente liberalizzato.
Il risultato è che l’azienda non ha potuto accrescere la sua offerta in linea con l’aumento delle dimensioni del mercato, essendo impossibilitata ad adeguare le dimensioni della flotta, e non ha potuto neppure procedere alla sostituzione dei vecchi aerei, divenuti troppo costosi in termini di consumi di carburante e di oneri di manutenzione.
La nuova Alitalia del 2009 assomiglia in maniera straordinaria alla vecchia Alitalia del 1995: vola con poco più di 150 aerei e trasporterà all’incirca 21 milioni di passeggeri. Sono esattamente gli stessi numeri di allora; tuttavia, poiché il mercato è aumentato nel frattempo di una volta e mezza, la quota di mercato che per la vecchia Alitalia era del 50%, nel corrente anno sarà per la nuova solo del 20%.
Il secondo grande errore dell’ultimo decennio è quello di aver progettato Malpensa come hub internazionale del vettore di bandiera, nonostante i limiti del medesimo, rilevanti e ben noti: una compagnia di stato poco efficiente, basata su una sede differente, con scarsa vocazione al trasporto intercontinentale, con pochi aerei a lungo raggio e senza la capacità finanziaria per comperarseli. Ma il difetto maggiore di Malpensa come hub è la sua collocazione geografica. Con il termine hub and spoke, creato per analogia con la ruota della bicicletta (hub = mozzo, spoke = raggio), si intende infatti un modello di sviluppo della rete delle compagnie aereecostituito da uno scalo dove si concentrano la maggior parte dei voli. Sono gli spoke, i raggi (i collegamenti aerei attivati da uno specifico vettore) a rendere hub un aeroporto, punto di interconnessione tra le diverse rotte che vi convergono, e non le scelte organizzative delle sedi aeroportuali.
Perché l’hub funzioni adeguatamente, i suoi raggi debbono essere non così corti da non rendere conveniente offrirvi dei collegamenti aerei di feederaggio. Se noi osserviamo una cartina dell’Italia nella quale tracciamo le rotte che collegano i diversi aeroporti del nord, del sud e delle isole con Fiumicino ci accorgiamo che tali rotte sono grosso modo di lunghezza simile. Fiumicino è pertanto l’hub naturale italiano.
Se spostiamo l’hub a Malpensa vediamo che le rotte di collegamento dal sud si allungano, ma questo non rappresenta un problema; le rotte dal nord, invece, si accorciano in maniera tale che non è economicamente conveniente offrirvi collegamenti aerei. Da Genova, Torino, Verona, Treviso, Venezia, Trieste è possibile raggiungere Fiumicino in aereo in un tempo minore rispetto a quello che si impiega per arrivare a Malpensa per via di terra. Ecco perché, al di là della debolezza di Alitalia, l’hub a Malpensa non era sostenibile, e questo nonostante la maggior parte della domanda per voli a lungo raggio provenga proprio dalle regioni del nord Italia.
Quali prospettive per il futuro?
Se si può trarre un insegnamento dagli errori del passato è che il tentativo di realizzare politiche con finalità particolaristiche, quali favorire uno specifico vettore o uno specifico aeroporto, è destinato a non generare esiti sostenibili nel lungo periodo e a produrre danni più o meno rilevanti nel momento in cui l’architettura artificiosa è destinata a crollare (abbandono di Malpensa come hub a fine marzo 2008; commissariamento di Alitalia a fine agosto dello stesso anno).
La politica migliore è finalizzata a sviluppare il mercato e poiché il mercato si sviluppa quando una domanda crescente è soddisfatta da un’offerta crescente, la politica migliore è senz’altro di non ostacolare in alcun modo il libero incontro della domanda e dell’offerta e di rimuovere gli ostacoli esistenti, quali barriere regolamentari, restrizioni della concorrenza, restrizioni artificiali dell’offerta, tassazioni improprie.
Alcuni esempi: l’ingiustificata restrizione di capacità su Linate che, congiunta alla fusione Alitalia-AirOne, ha reso monopolistiche molte rotte domestiche; lo strumento degli oneri di servizio pubblico sulla Sardegna e su altre destinazioni; la quota della tassa d’imbarco pagata da tutti i passeggeri per alimentare i costi della cassa integrazione degli ex dipendenti Alitalia.
Una volta archiviata l’attuale recessione i traffici aerei riprenderanno a crescere, come è avvenuto dopo tutte le crisi precedenti, ancora più velocemente di prima. Senza assurde politiche protezionistiche potranno crescere in Italia più velocemente che altrove e recuperare almeno parzialmente l’attuale gap di domanda.
(2. fine)