Giovedì scorso, Finmeccanica quotava in Borsa 4,328, vicina ai valori massimi del 2012; il martedì dopo, il titolo era sceso a 3,892, il 10% in meno in tre giorni di Borsa. Ieri, un po’ paradossalmente visti gli arresti e gli indagati eccellenti, è un po’ risalito. Si sa, in Borsa la speculazione approfitta di tutto.
Andiamo allora a vedere la capitalizzazione di Borsa, quella per intenderci che dovrebbe dare un’indicazione sulla valutazione dell’azienda e che rimane il principale indicatore per un’eventuale scalata sul mercato. In questi giorni, la capitalizzazione di Finmeccanica si aggira attorno ai 2300 milioni di euro, ma il valore nominale delle sue azioni è di 4,40 euro, per cui il capitale sociale ammonta a circa 2544 milioni, cioè superiore di un 10%.
Dati non entusiasmanti, che rendono appetibile uno dei nostri “gioielli” per qualche suo agguerrito concorrente, magari come alternativa, o variante, alla megafusione tra l’inglese Bae System e la franco- tedesca Eads. Una fusione che avrebbe lasciato ai margini proprio Finmeccanica. Lo Stato italiano, tuttora azionista di riferimento, potrebbe certo opporre ostacoli, ma potrebbe solamente farne solamente una questione di prezzo. E, con i chiari di luna attuali, potrebbe essere questo il caso più probabile. Dopo tutto, rimarrebbe una società europea, no?
Forse è proprio su questa ipotesi che la Borsa ha arrestato il crollo, almeno per il momento, tenendo conto che comunque le quotazioni rimangono molto più alte di quelle della fine dell’anno scorso, che viaggiavano sotto i 3 euro. Rimane il fatto che l’iniziativa della magistratura ha prodotto effetti dirompenti, se non sulle quotazioni, sull’immagine e la governabilità dell’azienda. E’ ovvio che i magistrati debbano perseguire i reati, ma una delle caratteristiche di un magistrato dovrebbe essere la prudenza, nel senso di attitudine a scegliere i mezzi opportuni per il conseguimento del fine, per dirla con San Tommaso. O, per citare i padri del diritto, per evitare che il summum jus divenga summa injuria. Per evitare, insomma, quelli che in campo militare si definiscono pudicamente “danni collaterali”.
In questa vicenda di prudenza c’è n’è molto poca e di danni collaterali, ma deleteri per il Paese, molti. La prudenza, o semplicemente il buon senso, avrebbe consigliato maggiore riservatezza, soprattutto in questo caso; invece, si è proceduto con i soliti interrogatori, farciti di “si dice”, finiti sui media, come gli avvisi di garanzia, che sembrano ormai solo garantire titoli in prima pagina.
Già altri, come Sergio Luciano su queste colonne, hanno rilevato l’atteggiamento falsamente ingenuo di chi pretenderebbe che, in questo settore e trattando con certi Paesi, non vi sia un giro di “oliamenti” e solo Alice nel Paese delle Meraviglie potrebbe pensare che i concorrenti stranieri si comportino in modo diverso. Ed è qui il punto: mi chiedo in quale altro Stato nostro concorrente, ad esempio i già citati Regno Unito, Francia, Germania, sarebbe potuta nascere una vicenda di questo genere, e infatti non è nata. Davvero crediamo che le concorrenti di Finmeccanica siano l’equivalente di Biancaneve? Forse ci siamo dimenticati che una delle ragioni, se non la principale, che hanno portato Cameron e Sarkozy ad attaccare la Libia è stato il tentativo di sottrarne il petrolio all’Eni. Tra gli applausi, ovviamente, dei nostri pacifisti in servizio intermittente.
Sarebbe bene ricordare che nei paesi che ospitano i concorrenti di Finmeccanica, i pubblici ministeri dipendono dall’esecutivo, o sono comunque sotto il suo controllo, e mai si sognerebbero di intraprendere un’azione contro aziende strategiche senza il benestare del governo. L’Italia è in tal senso un’eccezione, essendo i pubblici ministeri parte integrante della magistratura, non solo indipendenti dal potere esecutivo, ma con maggiore discrezionalità rispetto alla stessa magistratura giudicante.
Non sto evidentemente insinuando un interesse dei magistrati inquirenti a danneggiare volutamente Finmeccanica, dico solo che un reale interesse strategico dello Stato, quindi della comunità, non sembra aver interferito con la loro volontà di applicare la legge, “senza guardare in faccia nessuno”: summum jus, summa injuria. Non a caso si sta discutendo da decenni sulla possibile eliminazione di questa anomalia, che non è solo una questione alla Berlusconi, come si può vedere.
Si può anche convenire che far dipendere la pubblica accusa dall’esecutivo può essere pericoloso, anche se lo fanno Stati sempre presi a nostro modello. Si potrebbe, però, almeno portare a termine quell’iniziale riforma che consisteva nella separazione delle carriere: sarebbe quanto meno un buon inizio. Anche di questo si parla da lungo tempo e non se ne è fatto nulla. Forse è il caso di darsi una mossa, anche se qualche PM, più o meno d’assalto, ci rimarrà male.