Dopo qualche settimana di rumours particolarmente qualificati e circonstanziati la Ducati è ufficialmente passata al colosso tedesco dell’automotive Audi per, pare, la modica cifra di 860 milioni di euro. Il fatto è particolarmente interessante perchè si tratta di uno dei marchi italiani più noti (e amati) nel mondo, perchè l’acquirente è una casa automobilistica tedesca e perchè la somma pagata, in una fase economica non particolarmente brillante, è significativa. Non solo l’acquisizione in quanto tale merita qualche riflessione, ma anche le sue conseguenze richiedono un minimo di spirito di osservazione.
La prima reazione è la preoccupazione per l’ennesimo simbolo del made in Italy che prende il volo per accasarsi al di fuori dei confini; l’ennesimo di una fase che ha visto la proprietà di diverse società italiane finire in mani estere. Il rammarico in questi casi è inevitabile, ma non tutti i settori e non tutte le cessioni hanno lo stesso peso e lo stesso significato. Il settore bancario è diverso da quello energetico e un particolare settore industriale è diverso da qualsiasi altro. Nel caso specifico le preoccupazioni sulle ricadute “occupazionali” o sulla crescita non sembrano particolarmente acute. La Ducati è la “Ducati” perchè italiana e perchè prodotta con quello stile in “quel posto”.
Comprare pagando cifre rotonde un marchio del lusso italiano svuotandolo poi delle sue specificità più qualificanti non è un’operazione molto intelligente sotto ogni profilo economico e finanziario. Se si sapesse, per esempio, che la Ferrari venisse prodotta in un’anonima città della provincia del Quangdong e non a Maranello probabilmente le vendite crollerebbero nel giro, al massimo, di due trimestri. Il timore quindi ci sembra ingiustificato e crediamo che ad Audi interessi esportare un marchio del lusso italiano, riconoscibile in quanto tale. Le finalità del gruppo Volkswagen nell’acquisizione di Ducati sono ovviamente un punto fondamentale della vicenda e non ci esimiremo da qualche ipotesi che richiede però che prima venga toccato almeno un altro punto.
Il secondo pensiero che si affaccia dopo la lettura della notizia è relativo alle centinaia di milioni di euro pagate senza troppa difficoltà per la società italiana. Ducati è stata delistata dal mercato italiano nella primavera del 2008 a un prezzo che valorizzava il 100% della società poco più di 550 milioni di euro. Nel frattempo è fallita Lehman, è fallita la Grecia, è cambiato il mondo e oggi la stessa azienda vale più di 800 milioni di euro. È vero e innegabile che in Italia le condizioni per fare impresa siano generalmente tremende e ben più ostiche di quelle che si trovano appena fuori dai confini, ma nel caso specifico, e fortunamente ancora oggi in molti altri, queste condizioni non hanno impedito oggi, non dieci anni fa, un investimento piuttosto deciso di un gruppo tedesco, mentre l’investimento fatto quattro anni fa da Investindustrial di Andrea Bonomi in un esempio fulgido del made in Italy non ha deluso.
I conti stridono con i risultati devastanti che, in Italia, investimenti per centinaia di milioni di euro hanno prodotto in fragili operazioni immobiliari, su banche e assicurazioni o su gruppi editoriali il cui filo conduttore sembra essere stato la ricerca della rendita economica, politica o finanziaria con la partecipazione più o meno riuscita in uno dei “salotti buoni”. Volkswagen pare fosse vicina all’acquisizione nel 2005; Fiat e Ferrari, un business non molto dissimile che ha dato e sta dando grandissime gioie, non pervenute; mentre Exor nel 2007 (al picco del mercato) si comprava il 71,5% dell’operatore immobiliare americano Cushman & Wakefield per 470 milioni di euro.
Il terzo e ultimo punto è cosa voglia fare Volkswagen/Audi con Ducati e le implicazioni che questa mossa può avere sul mercato italiano. La domanda non è banale anche perchè il prezzo pagato è “pieno”. È presumibile che Audi voglia promuovere il marchio Ducati sfruttando la propria presenza globale; le implicazioni possibili per le vendite di Ducati sono ovvie e positive. Allo stesso modo è presumibile che gli investimenti continuino perché Ducati venga ancora percepita come una moto “premium”, altrimenti l’investimento fatto perderebbe ogni valore.
Rimane da vedere se gli investimenti continueranno a essere in Italia e non invece in Germania o in Cina, ma sinceramente il mito della moto sportiva italiana che è stato comprato da Volkswagen per rimanere tale deve continuare ad avere tutte le sue caratteristiche, compreso il fatto che sia la moto prodotta a Borgo Panigale. È inutile dire però che, anche date le ultime vicende europee, il gruppo tedesco avrà sotto questo punto di vista tutti i riflettori addosso.
In tutto questo ha avuto un ruolo sicuramente decisivo l’attuale presidente del gruppo Volkswagen Ferdinand Piëch; l’“accusa” che gli viene rivolta è qualla di essere un imprenditore visionario, ma quello che ha creato è al di fuori di qualsiasi critica. Nella testa di Piech, probabilmente, non è stato innanzitutto completato l’acquisto di un’azienda con un certo fatturato, un certo margine operativo a un certo prezzo, ma un marchio premium irripetibile noto ai quattro angoli del pianeta. Un marchio e un’azienda che, se ben gestiti, difficilmente daranno delusioni nel lungo termine.
Se volessimo usare due termini, per quanto rozzi e imprecisi, potremmo dire che Marchionne è un grandissimo tattico e Piech un grandissimo stratega. Piech è lo stesso manager che da anni a stento, per usare un eufemismo, nasconde la propria passione per Alfa Romeo, altro mito, purtroppo appannato, del made in Italy che vivacchia senza troppi modelli, investimenti e idee in attesa di uno sbarco in America che non arriva mai, mentre avanza l’ipotesi che il marchio possa alla fine essere prodotto direttamente negli Stati Uniti.
Se Piech ha pagato più di 800 milioni per Ducati quanto potrebbe mettere sul piatto per far cedere le resistenze di Fiat su Alfa Romeo? Questa è la domanda che da domani comincerà a girare vorticosamente sui mercati. Se Piech dimostrasse con i fatti di voler investire in italia sviluppando Ducati dove sarebbe veramente l’interesse del “sistema Italia” è l’altra. In altre parole, difendere l’italianità di Alfa nelle mani di un gruppo che non investe, che medita di spostare la sede e di cominciare la produzione negli Stati Uniti che senso ha?
Il visionario e stratega Piech potrebbe non avere nessuna intenzione di fermarsi alla Ducati e magari trovare alleati nella sua campagna in Italia; investire e fare ancora più grande Ducati è infatti tra le altre cose un ottimo modo per trovarne molti.