Sarebbe un errore archiviare come un’umorale perfidia tardo-gollista l’annullamento della visita di Nicolas Sarkozy a Londra, all’indomani delle schermaglie per le nomine Ue. Certamente il presidente francese si è potuto permettere uno sgarbo plateale a Gordon Brown: un premier uscente, un laburista isolato in un’Europa dominata dai partiti moderati. Ma sarebbe superficiale fermarsi anche all’oggetto formale dell’attuale contendere tra Francia e Gran Bretagna: l’affidamento al transalpino Michel Barnier – all’interno della Commissione “Barroso 2” – della delega strategica al mercato interno e ai servizi finanziari, finora retta dall’inglese Charles McCreevy. La polemica politica è in sé trasparente: Sarkozy ha rivendicato a Barnier, già suo consigliere personale e ministro dell’agricoltura del governo Fillon, il compito di realizzare la riforma della regulation finanziaria dell’Unione, definitivamente impostata nei giorni scorsi a Bruxelles. Un pacchetto che risente certamente di qualche compromesso con la Gran Bretagna (cioè con la City di Londra), ma conferma l’approccio rigorista all’exit strategy dalla Grande Crisi, portato avanti dall’Europa continentale (Francia, Germania e, non ultima, Italia) in tutti i recenti G20: in particolare nel secondo, tenutosi nell’aprile scorso proprio a Londra.
Lì e allora, al debutto di Obama anche sulla scena del crollo dei mercati originato in America, si scontrarono la linea anglosassone dell’”incidente di percorso” da superare a colpi di sussidi pubblici alle banche e quella del “collasso strutturale”, da curare (secondo la Vecchia Europa) con una revisione profonda di modelli e regole della finanza. C’è ancora questo nella presa di posizione del cancelliere dello scacchiere britannico, Alistair Darling, che ha messo ufficialmente le mani avanti contro un’evoluzione accentuatamente anti-mercatista delle regulation finanziaria in Europa sotto la regia francese: il che ha fornito a Sarkozy il pretesto per un’escalation diplomatica con Londra, che ha avuto l’effetto immediato di screditare ulteriormente la nomina istituzionale di lady Catherine Ashton a ministro degli Esteri dell’Unione.
Ma se le nuove authority macro e micro-prudenziali a livello Ue-27 sono ancora sulla carta e non presentano fisionomie particolarmente incisive, è altresì vero che la Francia rafforza parecchio la sua presa sostanziale sullo scacchiere finanziario del dopo-crisi. La poltrona di Barnier si affianca a quelle di Dominique Strauss-Kahn e Pascal Lamy (rispettivamente direttori generali di Fmi e Wto) ma – soprattutto – a quella di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce. Il quale, tuttavia, è praticamente in scadenza: non stupisce, quindi, che Parigi faccia il possibile per dare subito il massimo profilo alla nuova autorità politica dei mercati europei in attesa della designazione del nuovo presidente della banca di Francoforte, che non sarà un francese.
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Ma il rinnovo del vertice Bce – destinata inesorabilmente ad accrescere il proprio peso tecnico-istituzionale – si annuncia come il tema forte del 2010, con problematiche e impatti attesi probabilmente più rilevanti di quelli che hanno accompagnato la fresca nomina del belga Herman Van Rompuy alla presidenza della Ue. All’ultimo piano dell’Eurotower di Francoforte arriverà il leader italiano del Financial Stability Board, accreditato dal passaggio alla Goldman Sachs prima della nomina al vertice della Banca d’Italia? Oppure Alex Weber, il presidente della Bundesbank, un economista per cui qualsiasi “economia di mercato” è sempre “un po’ sociale”?
Proprio su questo sfondo la geopolitica di una finanza ancora in mezzo al guado sembra dare ulteriori chance alla Francia: il cui sistema bancario ha retto all’urto dello tsunami di Wall Street con un utilizzo relativamente ridotto di aiuti pubblici. E d’altro canto Euronext-Nyse (l’asse tra le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e New York maturato prima che Wall Street implodesse) è un ponte rimasto in piedi tra le due sponde dell’Atlantico. Invece il London Stock Exchange (che ha incorporato anche la Borsa Italiana) è una cittadella semidiroccata ed assediata: una piattaforma di un paese in piena recessione e fuori dall’Eurozona, circondata da banche che (come Royal Bank of Scotland) erano veramente fallite e sono state salvate solo con massicce iniezioni di capitali e liquidità da parte di Governo e Banca d’Inghilterra (per di più le reazioni protezioniste del Governo inglese agli sviluppi dell’Opa Cadbury stanno appannando l’ultra-mercatismo ortodosso della City).
Al centro del vecchio continente, infine, la Deutsche Boerse di Francoforte rimane ancorata nella più grande economia europea, ma anche a una forza geopolitica (la Germania di Angela Merkel) che non ha avuto la forza di imporre il passaggio di Opel da General Motors a un consorzio appoggiato dal nuovo capitalismo russo. Anche per questo, non solo per questo, Londra ha sbagliato un’altra mossa, dopo la goffa proposta di “Tobin tax” sulla finanza da parte di Brown al G20 di Pittsburgh: chiudere il tunnel sotto la Manica a Sarkozy, questa volta non significa che “il Continente è isolato”. Isolata è la City. E lady Ashton non potrà farci nulla. E sarà interessante verificare la tenuta della leggendaria “special relationship” tra Stati Uniti e Gran Bretagna alla prova della ricostruzione e della ripresa dei mercati.