Dopo il glorioso +3,4% di martedì, il mercato italiano ha chiuso ieri con un pessimo -3,7% coronando una giornata da brividi con lo spread salito a 440 (da 425), l’euro/dollaro ai minimi degli ultimi 22 mesi e l’emissione dei titoli statali tedeschi a due anni con un rendimento nominale dello 0,07% e uno reale negativo. Le spiegazioni possibili sono solo due e si autoescludono: la prima è che i mercati siano completamente impazziti e che non ci sia alcun senso – né apparente, né reale – nelle performance di borsa giornaliere e che quindi è del tutto inutile e superfluo analizzare queste variazioni pur eclatanti; la seconda è che ci sia una qualche ragione che possa far comprendere cambi di umore così radicali.
Propendendo per la seconda opzione, l’unica spiegazione possibile è che ci si trovi, e che il mercato creda, in uno scenario da “bianco o nero”, dove le scale di grigi non vengono prese in considerazione. Sintetizzando brutalmente la situazione o l’Europa, la Germania, decide di salvare l’euro e attua le misure conseguenti oppure si va verso una rottura disordinata dell’euro con conseguenze economiche, sociali e politiche sostanzialmente imponderabili e inconoscibili per tutti, investitori inclusi. Il corollario della prima “opzione” è che i mercati dei paesi periferici sono a prezzi di saldo e rappresentano un’imperdibile occasione di acquisto, quello della seconda è che è meglio vendere tutto perchè, se proprio si vuole, tra qualche mese si comprerà a prezzi ancora più bassi.
C’è almeno un altro elemento da aggiungere a questa linea interpretativa per capire come mai il mercato si muova con scossoni così violenti. Il punto di non ritorno, oltre al quale le opzioni si riducono a una sola, si sta avvicinando rapidamente. La corsa agli sportelli è una realtà in Grecia, le nuove elezioni si stanno avvicinando e si richiede una ridefinizione degli accordi sulla ristrutturazione del debito; nel frattempo si stanno affacciando gli spettri di una corsa agli sportelli prima in Spagna e poi in Italia.
In questo contesto la parola finale spetterà alla Germania che deciderà per tutti dopo che la Francia con l’elezioni di Hollande ha sposato una linea nettamente più “europeista”. In questo momento la Germania sta, realisticamente, facendo le proprie valutazioni per decidere quale sia lo scenario che le convenga maggiormente. I timori tedeschi sugli effetti inflattivi che avrebbe una politica monetaria espansiva necessaria per salvare i paesi periferici sono noti, così come quelli sui risultati indesiderati che il salvataggio potrebbe comportare; in particolare, i timori riguardano le mancate riforme che la fine della pressione dei mercati potrebbe determinare.
In altre parole, niente al momento assicura alla Germania che i paesi con deficit mettano in atto davvero le riforme e i tagli dopo il lancio della rete di salvataggio. Le richieste della Germania di inserire nelle Costituzioni impegni su deficit e debito vanno in questo senso. È politicamente difficile sostenere che un tedesco debba fare sacrifici per mantenere, ad esempio, una burocrazia e uno Stato inefficienti e spreconi nei paesi periferici.
I costi per l’economia tedesca di una rottura dell’euro sono presumibilmente al centro delle valutazioni; le esportazioni tedesche in Europa hanno rappresentato però nel 2011 più del 60% del totale e di queste quelle verso paesi dell’area euro sono state i due terzi. Bisognerebbe poi considerare la pressione competiva che i paesi confinanti, tra cui soprattutto l’Italia, eserciterebbero con una moneta svalutata. I conti non sono facili da stimare, per usare un eufemismo, ma è chiaro che la Germania in questo momento si può permettere il lusso di decidere e soprattutto di aspettare per trattare da una posizione di forza. Il costo nullo che la Germania paga sul suo debito è un ottimo indice della posizione di vantaggio in cui si trova oggi.
Per quanto la posizione sia di forza, se la Germania non sta perseguendo coscientemente un progetto di rottura dell’euro, allora si sta sempre di più scherzando col fuoco. I calcoli di convenienza e di ritorno economico vanno benissimo in fasi “normali”, ma hanno un valore diverso in frangenti così anomali, volatili e sostanzialmente imprevedibili, dove la situazione può davvero sfuggire di mano.
Pare infine che a livello europeo si stiano preparando piani di uscita dall’euro di singoli paesi; al di là delle conferme questi rumours sono decisamente credibili se alcune delle maggiori multinazionali europee (tra cui Vodafone per bocca del suo ad italiano) hanno già predisposto i sistemi per contabilizzare una nuova valuta greca. La credibilità di questi rumours, con lo loro conseguenze dirette e indirette, è già di per sé una minaccia grave per la sopravvivenza dell’euro e tenerli in vita a lungo non è una buona idea se si vuole evitare la fine della moneta unica.