Qualcuno azzarda anche il paragone: “Siamo nella stessa situazione del 14 dicembre”. Ma si tratta dei più temerari. La maggior parte guarda con una certa preoccupazione ai ballottaggi di domenica e lunedì. Anche se i segnali economici sembrano aver trasformato la disperazione in un cauto ottimismo. L’impressione, infatti, è che difficilmente l’esito delle partite di Milano e Napoli influiranno sul cammino del governo. Almeno nel breve periodo.
E qui si torna al 14 dicembre. D’accordo, in quell’occasione ad aiutare il governo ci pensarono una manciata di fuoriusciti dall’opposizione, ma è convinzione di molti che il più grande aiuto sia arrivato dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano che richiamò le diverse forze politiche alla responsabilità e chiese che prima venisse approvata la Finanziaria e poi si votasse la fiducia, dando la possibilità alla maggioranza di riorganizzarsi.
Lo scenario micro e macroeconomico di oggi non è molto diverso da quello di sei mesi fa. La crisi della Grecia sta rimettendo in discussione l’area dell’euro e la Corte dei conti ha appena fatto sapere che l’Italia avrà bisogno di una manovra da 46 miliardi di euro. Intervento per altro confermato, non nelle cifre, anche dall’esecutivo. Come se non bastasse il nostro Paese è finito sotto la lente delle agenzie di rating. A questo punto la domanda nasce spontanea: può un governo dimissionario affrontare questa delicata fase?
Evidentemente no. Ecco perché nel Pdl si fa molto affidamento sul fatto che, anche in caso di sconfitta ai ballottaggi, Berlusconi rimarrà a Palazzo Chigi. Dopotutto continua a mancare un’alternativa credibile e quindi meglio non rischiare. Anche se la fiducia, ovviamente, resta a tempo.
E qui entra in gioco la Lega. L’unica, all’interno del centrodestra, che sembra lavorare seriamente ad un dopo-Cavaliere. L’idea, però, non sembra essere quella di rompere il recinto dell’attuale maggioranza. Piuttosto il Carroccio sogna un passo indietro del premier con successivo avanzamento di un uomo fidato (Tremonti sarebbe l’ideale per gestire una nuova emergenza economica) che riapra il canale del dialogo con il centrosinistra. L’appoggio del Pd, tra l’altro, si renderebbe necessario visto che è abbastanza plausibile pensare che parte del Pdl si ribellerebbe all’ipotesi di un’ulteriore avanzata leghista.
Comunque il dopo resta per ora nel campo della fantapolitica. Quello che è certo è che non c’è molta fiducia sul voto di domenica e lunedì. L’impressione è che sia Pisapia che De Magistris abbiano il vento in poppa. Ma ormai l’attenzione del premier è tutta focalizzata su Roma. Non a caso, quando si chiuderanno le urne, il premier sarà a Bucarest per una visita istituzionale. Un viaggio che per i maligni è stato fissato apposta per saltare le udienze dei processi Mills e Ruby.
Ma un viaggio che rappresenta una bocciatura della strategia politica usata in queste amministrative: i comizi in tribunale non hanno prodotto l’effetto sperato, meglio rinunciare.